QUELLA LETTERA DI NAPOLITANO
Al contrario, Malinconico ieri ha replicato in puro politichese al grido d’allarme dei giornali in cooperativa e no-profit. Il sottosegretario afferma che «nella manovra si vogliono tutelare i giornali e il pluralismo», aggiunge che «bisogna andare a trovare le risorse», precisa che «l’appuntamento fondamentale è mercoledì in parlamento». Non dice l’unica cosa che conta: la cancellazione del comma 3 dell’articolo 29 inserito nella manovra economica.
Oltretutto la scelta del governo di azzerare i fondi all’editoria produrrà quattromila disoccupati, con costi economici dunque molto più consistenti di quel che occorrerebbe per riequilibrare il fondo dell’editoria. Il governo Berlusconi, secondo a nessuno nella censura del pluralismo, comunque lasciava in vita il Fondo con uno stanziamento di 19 milioni per il 2012. Briciole, il decreto Monti ha spazzato via pure quelle.
Le cortine fumogene delle dichiarazioni di Malinconico possono servire a riempire l’imbarazzo di una scelta inedita, immediatamente esecutiva, una condanna capitale. Né stupisce che il conflitto di interessi diventi il robusto filo della continuità tra ieri e oggi (la questione delle frequenze televisive ne è testimonianza), o che nulla importi al governo tecnico dell’Articolo 21 della Costituzione. Ma almeno i professori dovrebbero essere capaci di distinguere un Lavitola da una cooperativa di giornalisti, o i giornali fantasma del sottobosco politico da testate storiche, di ogni colore politico. Ci saremmo aspettati un’opera di riforma e di pulizia.
Pronti naturalmente a ricrederci se Monti risponderà seriamente alle preoccupazioni del presidente Napolitano. Serve un emendamento che ripristini i contributi e nei prossimi dodici mesi produca un regolamento rigoroso che noi invochiamo da dieci anni.
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