Quei dementi di intellettuali
Il “principio di razionalità ” insito nell’economia ha permeato sempre più il nostro modo di pensare, facendosi strada nei salotti, nelle scuole, nelle relazioni sociali. E secondo questi standard, gli immigrati, i senzatetto, i disoccupati, i disabili valgono meno… Le concezioni neoliberiste si sono infiltrate nella vita quotidiana e vengono usate come armi contro i gruppi svantaggiati». Heitmeyer – che non vede attualmente segnali di vero e proprio conflitto, ma registra l’aumento di «apatia e disorientamento» – parla solo della Germania, ma il quadro che descrive può essere utilmente confrontato con quanto avviene dalle nostre parti.
Smettere di pensare che il proprio campetto sia il centro del mondo e nulla avvenga oltre i suoi confini è del resto un esercizio importante per comprendere un fenomeno e individuare la strategia migliore per affrontarlo. Prendiamo l’attacco per nulla strisciante che viene condotto in Italia contro le discipline umanistiche e più in generale contro quella che si potrebbe definire «l’universalità dell’università ». Soltanto in Italia? Certo che no. Per citare il caso più recente, l’ultimo numero della «London Review of Books» contiene il testo di due interventi di Keith Thomas e Michael Wood presentati a un convegno il cui titolo, Universities Under Attack, non richiede traduzione. Questa la chiusa dell’intervento di Wood: «A uno studente di Oxford che le aveva detto di volersi laureare in storia, pare che Margaret Thatcher abbia risposto: “Che lusso”. Coloro che sono convinti che gli aspetti considerati poco pratici dell’istruzione superiore siano un lusso per il quale lo stato non è tenuto a pagare, hanno ragione in un loro sciaguratissimo modo. Non pagheranno. Ma i loro figli sì, e anche i nostri – e non si tratterà di denaro».
Anche in Francia si discute sul declino delle humanités, con la singolare convinzione che «il dibattito sia soprattutto francese» dal momento che – così scrive «L’Express» nel cappello introduttivo a un’inchiesta intitolata A cosa serve essere colti? – «a lungo i francesi si sono sognati intellettuali». Non è più così, se ha ragione Dominique Reymond, delle Presses Universitaires de France (la Puf della leggendaria collana «Que sais-je?»), che annunciando l’uscita di un volumetto intitolato – e ridagli – A quoi sert le savoir?, «A cosa serve il sapere?», osserva: «I risultati di una ricerca che abbiamo commissionato sul rapporto tra i francesi e la cultura dimostra una fortissima erosione della lettura presso i giovani». Non solo: «Per gli adolescenti francesi, intello, “intellettuale” ormai è un insulto, al pari di bolosse, “demente”».
(Ma anche tutto questo affanno nel sottolineare che la conoscenza serve, è utile, non meriterebbe di essere indagato?).
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