Quattro mesi nel deserto: libero il volontario italiano

by Editore | 17 Dicembre 2011 7:43

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NAIROBI — Francesco Azzarà , il volontario di Emergency rapito a Nyala, nel sud del Darfur, il 14 agosto scorso, è stato liberato. Ieri sera è arrivato a Khartoum dove è stato visitato presso l’ospedale militare per essere dimesso poco dopo: è in buone condizioni di salute. Gino Strada, il leader dell’organizzazione umanitaria, al telefono con ilCorriere, ha raccontato che i suoi carcerieri lo hanno trattato bene: «Certo non poteva andare in giro e ha sofferto la prigionia. Gli ho appena parlato e anche psicologicamente mi pare abbia superato bene la terribile esperienza».
La notizia della liberazione di Azzarà  è stata diffusa da un sito molto vicino ai servizi di sicurezza sudanesi. Non è chiaro quanto sia stato pagato di riscatto, ma le fonti vicine al governatore di Nyala, la capitale della provincia orientale sudanese, hanno raccontato che si tratta di una cifra «non eccessiva».
La stampa sudanese ha parlato di «180 mila dollari». «Non ne sono informato», si è limitato a rispondere il ministro degli Esteri italiano Giulio Terzi sulla questione. «Siamo molto, molto lieti che Azzarà  sia libero — ha detto ancora Terzi — e che sia tornato a Khartoum sano e salvo». La sua liberazione, ha spiegato il responsabile della Farnesina, è il frutto di un impegno congiunto dell’unità  di crisi e della ong (Emergency, ndr) alla quale appartiene e a cui va dato il riconoscimento di aver tenuto un’attenzione e uno stimolo costante ora per ora, minuto per minuto, su questa vicenda».
Gino Strada spiega: «Abbiamo parlato più di 30 volte con i capi della banda. A noi non è mai stata rivolta una richiesta in denaro (che per altro avremmo dirottato sul governo) ma non escudo che abbiano parlato, su questo tema, con le autorità . I capi della gang, piuttosto, ci hanno chiesto di pagare le fatture di acqua e cibo. Per quattro mesi abbiamo lavorato con le persone più ad alto livello del Paese, vicepresidenti, capi dell’intelligence, generali. Hanno tutti dato un grandissimo contributo. Alla fine hanno preso la cosa in mano i servizi e hanno organizzato l’operazione in tutta sicurezza. Francesco non è stato lasciato su una collina dove avrebbe potuto essere catturato da un’altra banda. È stato scortato e tenuto in sicurezza fino alla fine».
Che qualcosa sia stato pagato appare chiaro: «Noi non abbiamo versato nulla. Potrebbero averlo fatto altri. Magari non un riscatto in denaro ma concessioni, assunzioni, pagamenti di prebende», spiega Gino Strada. In effetti da queste parti talvolta basta un matrimonio, con cospicua dote della sposa in decine di cammelli, capre e asini. Ma anche un po’ di contante serve a oliare le ruote della macchina negoziale e a permettere il rilascio. Insomma, le richieste di denaro ci sono sempre, anche se prestigiose organizzazioni lo negano. Altrimenti perché i banditi sequestrerebbero i cooperanti? I rapitori di Azzarà , su questo le fonti in Darfur concordano, sono di etnia rezegat, in qualche modo connessi con il governatore anche lui rezegat del Sud Darfur, Abdulahmid Musa Kasha, e con il suo vice, Abdul Karim Mussa. 

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