“Segni di progresso ma non basta” La Casa Bianca spinge l’Europa

by Sergio Segio | 10 Dicembre 2011 9:27

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NEW YORK – «Ci sono segni di progresso, ma è chiaro che ne servono altri»: la Casa Bianca considera l’accordo di Bruxelles come uno «scampato pericolo», non molto di più. A differenza di Wall Street, che ha seguito i rialzi delle Borse europee, il giudizio di Barack Obama è più guardingo. Il presidente lo affida al portavoce Jay Carney, il quale torna a ribadire anche che «il governo degli Stati Uniti offre i suoi consigli, ma il problema richiede una soluzione europea». Quali sono questi consigli? Obama lo ha ricordato giovedì sera proprio mentre a Bruxelles si svolgeva il pre-vertice riservato ai soli membri dell’eurozona. «C’è una crisi immediata, che va risolta nel breve termine, è la fiducia dei mercati. Poi c’è da costruire il contratto sociale del lungo termine, perché tutti rispettino le stesse regole». Il cantiere dell’unione fiscale riguarda il lungo termine, mentre per Washington la sfida della fiducia non sarà  davvero vinta finché la Bce non si decide a scendere in campo con mezzi adeguati, una «potenza di fuoco» tale da difendere il sistema bancario contro i rischi di crac, intervenendo sul mercato dei titoli di Stato con maggiore determinazione. E poi Obama non si stanca di ricordare agli europei che il loro problema è la crescita. Se non rilanciano la crescita, non solo si aggraveranno i problemi sociali come la disoccupazione, ma lo stesso debito pubblico salirà  anziché decrescere: sia per l’effetto «aritmetico», essendo calcolato in proporzione al Pil; sia perché la nuova recessione farà  risalire la spesa pubblica automatica legata agli ammortizzatori sociali, mentre ridurrà  le entrate fiscali. La cautela di Obama contagia i commenti della stampa. Il New York Times intitola così: «Un trattato per salvare l’euro può spaccare l’Europa». Il tradizionale legame atlantico fa sì che negli Stati Uniti la defezione della Gran Bretagna non è considerata come un problema di poco conto. Lo stesso New York Times sottolinea che «Berlino unifica il resto dell’Europa sotto il suo controllo, con la Gran Bretagna praticamente fuori». Le preoccupazioni della Casa Bianca sulla crescita si riflettono sulla prima pagina del Washington Post: il quotidiano della capitale scrive che l’accordo Ue spiana la strada a «più lacrime e sangue», una «lunga èra di austerity», ma il successo politico sarà  «dolori per l’economia». Allo stesso tema è dedicato il lungo editoriale del Wall Street Journal: «Il vero deficit europeo è la crescita, la Ue non ritroverà  la prosperità  a colpi di sacrifici». Lo stesso quotidiano economico stigmatizza il lavoro incompiuto del vertice di Bruxelles, notando che i leader Ue ancora esitano a mobilitare quei fondi che saranno necessari per l’eventuale salvataggio di Italia o Spagna. Torna cioè la questione della «potenza di fuoco», stavolta in dotazione al fondo salva-euro (Efsf). E allora facciamo scendere in campo il Fondo monetario internazionale, è l’unico che ha mezzi e conoscenze per aiutare l’eurozona, così scrive Larry Summers, ex consigliere economico di Obama ed ex segretario al Tesoro di Bill Clinton. Ma a questo si riferiva Obama quando ha detto «l’Europa ha i mezzi per salvarsi»: l’intervento del Fmi per rafforzare il fondo salva-Stati andrà  congegnato in modo da evitare che costi qualcosa al contribuente americano. Obama non potrebbe permetterselo, in un anno di elezioni. Ma il presidente non s’illude che la data del 9 dicembre segni la parola «fine» in questa lunga crisi dell’eurozona. La «diplomazia del telefono», ogni settimana con Angela Merkel, e quella del segretario al Tesoro Tim Geithner impegnato in lunghe trasferte europee, continuerà  nel 2012. A gennaio un’occasione per misurare i progressi compiuti sarà  la visita qui di Mario Monti.

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