“Regole ai ricchi e diritti ai gay” la svolta a sinistra di Obama
NEW YORK – Una, due, tre cose di sinistra: Barack Obama non lo ferma più nessuno. Attacca l’1% dell’oligarchia finanziaria, usando un linguaggio da Occupy Wall Street. Denuncia la fine del Sogno Americano vanificato dalle troppe diseguaglianze. Promette battaglia contro una destra che vuole «esentare i capitalisti dalle regole». “Svolta populista”, intitolano all’unisono New York Times, Washington Post, Wall Street Journal.
Il luogo conta: il discorso della sterzata radicale, il presidente ha scelto di farlo in una cittadina del Kansas dove 71 anni prima Roosevelt lanciò la prima crociata contro il capitalismo dei grandi monopoli. Lo segue a ruota il governatore democratico dello Stato di New York, Andrew Cuomo, che si rimangia la promessa elettorale di non alzare le tasse e vara invece una super-aliquota dell’8,8% sui ricchi oltre i due milioni di reddito annuo (è un prelievo locale che si somma all’Irpef federale). Anche la politica estera riflette la nuova impronta “liberal”, col Dipartimento di Stato che ordina a tutte le ambasciate Usa di appoggiare nel mondo intero i diritti dei gay.
La campagna elettorale, a 11 mesi dalle presidenziali, imbocca una strada imprevista. Invece della solita rincorsa al centro per acchiappare gli elettori moderati e indecisi, accade il contrario: la polarizzazione si accentua. E Obama stavolta non si tira indietro, risfodera la grinta del 2008, con un “tocco di classe” in più: una requisitoria contro le diseguaglianze che hanno trasformato l’America in una società ferocemente ingiusta. «Il divario è giunto a livelli tali – denuncia il presidente – da rinnegare la promessa che sta al cuore dell’America: che questo è il luogo dove se ti dai da fare puoi riuscire». Perché questo sia vero «bisogna che ognuno giochi secondo le stesse regole» e invece un’élite oligarchica quelle regole le ha calpestate troppo spesso. O le ha ridisegnate a suo vantaggio, grazie al peso delle lobby del denaro che «stravolgono il nostro sistema politico».
Obama si rivolge alla “middle class”, quel termine inclusivo che qui negli Stati Uniti comprende oltre al ceto medio anche i colletti blu e quindi sta per “classi lavoratrici”. E’ il loro destino che si trova «a un bivio, un punto di rottura, perché è in gioco il fatto che l’America rimanga un paese dove chi lavora può mantenere una famiglia, comprarsi casa, assicurarsi una pensione». Tutti gli osservatori usano la parola “populista” per descrivere la svolta del Kansas. Sapendo che nella storia politica degli Stati Uniti il populismo non ha il connotato negativo che gli si dà in Europa. Qui c’è una forte tradizione di populismo di sinistra, che fornì anche la base di consenso per Franklin Delano Roosevelt nel suo New Deal contro la Grande Depressione. Non è un caso però se Obama si richiama all’altro Roosevelt, quello d’inizio Novecento che inaugurò le prime azioni antitrust: perché Ted era un repubblicano, e il suo precedente serve a dimostrare quanto la destra attuale sia spostata su posizioni estremiste, fautrice di un iperliberismo che favorisce «solo l’1%».
Se la nuova strategia di Obama converge con alcuni degli slogan di Occupy Wall Street, la ragione è semplice: quel movimento ha raccolto nell’opinione pubblica simpatie vaste, ben oltre le attese, e ha spostato l’attenzione dal problema del debito a quello delle diseguaglianze. Paralizzato nella sua azione legislativa, con i repubblicani che avendo la maggioranza alla Camera bloccano la sua manovra da 450 miliardi per l’occupazione, Obama cerca di prendere il controllo sulla narrazione dello scontro: se nella campagna del 2012 riuscirà a dipingere i repubblicani come “il partito dell’1%”, le sue chance possono risalire.
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