“La crisi morde, cambiamo stili di vita anche i politici cattolici devono capirlo”

by Sergio Segio | 6 Dicembre 2011 7:34

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Vorrei offrire, in occasione della festa di Sant’Ambrogio, tre brevi indicazioni di carattere culturale necessarie all’allargamento della “ragione economica” e di quella “politica”. Se non vogliamo ricorrere al drastico ammonimento del Signore – «Fate attenzione e tenetevi lontani da ogni cupidigia perché, anche se uno è nell’abbondanza, la sua vita non dipende da ciò che egli possiede» (Lc 12,15) – .
Sarà  sufficiente ricordare che già  Aristotele giudicava inaccettabile una vita che identificasse la felicità  con la ricchezza, ovvero che scambiasse un mezzo con il fine. Non ci si può rassegnare di fronte ad una concezione dello “scambio” che non solo è diventata sempre più diffusa, ma che sembra governare l’intera macchina economica. Secondo questa visione il cittadino è (pessimisticamente) ridotto all’homo oeconomicus, preoccupato esclusivamente di massimizzare il profitto. Alla base dell’attività  economica e finanziaria sembra infatti esservi solo l’assunto secondo cui l’aumento della ricchezza è in ogni caso e, meglio, quanto prima, un bene da perseguire.
In secondo luogo merita di essere denunciato l’indebolimento di quelle “voci” che porterebbero a questo auspicato allargamento della ragione. Responsabile in parte di questo indebolimento è il variegato processo di secolarizzazione, che ha di fatto favorito l’affermarsi della mentalità  positivistica denunciata da Benedetto XVI.
È però doveroso in proposito notare che, anche in campo cattolico, una ambiguità  latente in certa interpretazione del principio dell'”autonomia delle realtà  terrene”, ha giocato un suo ruolo. Nato come appropriato riconoscimento dell’autonomia dei fedeli laici nel campo “loro proprio”, il riferimento al principio dell’autonomia si è talora trasformato in una pericolosa rinuncia a far emergere la valenza antropologica ed etica necessaria per affrontare i contenuti concreti dell’azione sociale, politica ed economica. In tal modo, però, “autonomo” è diventato di fatto sinonimo di “indifferente” rispetto a tali sostanziali valenze. La stessa dottrina sociale della Chiesa ha rischiato, in questo quadro, di essere considerata più come una premessa di pie intenzioni che come un quadro organico ed incisivo di riferimento. Insomma, c’è da chiedersi se il mondo cattolico, per sua natura chiamato ad essere attento alle grandi sfide antropologiche ed etiche in gioco, non sia stato, da parte sua, corresponsabile, almeno per ingenuità  o ritardo o scarsa attenzione, dell’attuale stato di cose. Gli autorevoli inviti ai fedeli laici ad un più deciso impegno politico diretto domandano l’assunzione integrale della Dottrina sociale della Chiesa basata su princìpi di riflessione, criteri di giudizio e direttive di azione e non alchimie partitiche.
C’è ancora un terzo fattore che merita di essere segnalato. Neppure la combinazione di congiunture tanto sfavorevoli avrebbe condotto all’odierna crisi economico-finanziaria se essa non avesse potuto attecchire sul terreno di un’irresponsabilità  diffusa: quella che spinge a spendere sistematicamente per i propri consumi ciò che non si è ancora guadagnato. Un comportamento che fino a poco tempo fa sarebbe sembrato così folle da oltrepassare perfino il livello della qualifica morale (di fronte alla saggia formica, l’immorale cicala in fondo consumava soltanto ciò che aveva), ora è percepito sempre più come normale ed è sistematicamente provocato (fino a giungere alla pubblicità  che senza vergogna incoraggia ad indebitarsi per fare una seconda vacanza).
A comprova di questa deriva basti pensare ad un certo modo di concepire i diritti nella nostra società . Negli scorsi decenni, anche in ragione di un considerevole benessere e senza fare i conti con le risorse veramente disponibili, si sono avanzate pretese eccessive in termini di diritti nei confronti dello Stato. Il risultato è stato il formarsi di una società  sempre più disarticolata e scomposta. Tale processo ha oscurato un insieme di valori antropologici, etici e, quindi, pedagogici di primaria importanza: la capacità  di attendere per la realizzazione di un desiderio; la limitazione dei propri bisogni e il controllo dell’avidità ; la cura delle cose invece della loro compulsiva sostituzione; uno sguardo complessivo sulla durata della propria vita ed il senso della vita eterna; la solidale condivisione, in nome della giustizia, dei bisogni altrui a cominciare da quelli degli ultimi. Si potrebbe quasi dire che l’odierna crisi ha manifestato una diffusa “oscenità “, nel suo significato etimologico di “cattivo auspicio”, nell’uso dei beni.
Tutto questo impone un radicale mutamento degli stili di vita, tanto più che, come molti sottolineano, non sarà  possibile e non è neppure auspicabile ritornare al modus vivendi precedente alla crisi.
*Arcivescovo di Milano

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