by Editore | 20 Dicembre 2011 8:59
Carceri umane, ma anche lotta alla corruzione. Il Guardasigilli Paola Severino ha ancora addosso quella che definisce la «grande emozione» d’essere stata accanto al Papa a Rebibbia e di aver ascoltato le voci dolenti dei detenuti. Le prigioni sono una delle sue più importanti sfide. La considera ormai la sua mission. Ma non vuole passare per quella che produce leggi «svuota carcere». Anzi, nella sua prima intervista a tutto campo, invita tutti «al confronto costruttivo» e apre su altri grandi temi del diritto penale, come la lotta alla corruzione, fino a pensare di inserire nel codice una nuova fattispecie di corruzione, quella “privata” all’interno delle imprese.
Non le sembri bizzarro, ma le chiedo subito quale legge vorrebbe che fosse battezzata “legge Severino”?
«Sicuramente una che riguarda il carcere».
Lei ha intenzione di continuare a fare politica dopo questa esperienza? Si candiderà alle elezioni?
«Mi considero un cittadino qualunque cui è stato chiesto di ricoprire una funzione pubblica, quando essa cesserà io tornerò a fare il cittadino qualunque».
Quando Monti le ha proposto di fare il Guardasigilli ha pensato all’eredità pesante che avrebbe raccolto sulla giustizia?
«Sono pienamente consapevole della serietà dei problemi che ruotano intorno a questo mondo, ma ho sempre pensato che le difficoltà non debbano scoraggiare nessuno, specie quando si tratta di compiti istituzionali».
Lei garantisce che non proporrà , né asseconderà leggi ad personam come quelle di Berlusconi?
«Non ho mai pensato alla legge come un qualcosa che possa essere contro qualcuno o a favore di qualcuno. Il legislatore deve intervenire quando c’è bisogno. Sicuramente, ad esempio, c’è bisogno di una riforma dei delitti contro la pubblica amministrazione, perché il comune sentire sociale lo richiede e perché ci sono figure giuridiche nuove da inserire nel codice come la corruzione privata all’interno delle imprese, e cioè una forma di corruzione che non riguarda solo i pubblici ufficiali».
Il terreno è assai delicato, da anni oggetto di scontro. Lei si tufferebbe nel ginepraio?
«Una buona riforma dei delitti contro la pubblica amministrazione dev’essere preceduta da un intervento di revisione delle procedure decisionali e di gestione. Proprio per questo, con il ministro dello Sviluppo economico Passera e della Funzione pubblica Patroni Griffi, stiamo costituendo un tavolo di confronto per la semplificazione dei rapporti tra pubblica amministrazione e impresa».
Non teme di etichettare subito il suo ministero come quello che ha fatto una legge svuota carceri?
«È necessario, a volte, che passi del tempo perché il contenuto di certi provvedimenti possa essere compreso. L’espressione con cui è stato battezzato il decreto è in parte fuorviante. C’è chi teme e lamenta che possa essere messo in libertà chi suscita allarme sociale. Non è così, perché ho prestato la massima attenzione proprio a questi aspetti. A decidere sull’alternativa tra carcere e libertà dopo la camera di custodia, solo per reati di competenza del giudice monocratico e destinati al giudizio per direttissima, sarà sempre un magistrato. Come avviene già oggi proprio per quei reati. Non c’è nulla di nuovo, se non il luogo in cui la persona è momentaneamente trattenuta in attesa di essere portata in tribunale».
Lei ha timore che dal Pdl vogliano frenare le sue misure?
«Credo che non si debba avere timore del confronto di idee. Naturalmente, come faccio sempre, terrò nella massima considerazione le critiche, se esse sono costruttive. Ma quando leggo che taluno vorrebbe solo dei miglioramenti e che l’Anm dà un giudizio sostanzialmente positivo aggiungendo che servono solo “alcuni accorgimenti tecnici” rispetto a un meccanismo che già ora è quotidiana prassi, allora siamo sulla strada giusta».
Se le chiedessero di soprassedere sulle camere di sicurezza, viste le critiche di Mantovano, Pecorella, Costa?
«Al mio vecchio amico Pecorella dico che se ha delle idee me ne parli subito. Qui, però, stiamo discutendo di una misura tampone. Sullo sfondo c’è un pianeta carcere dove i suicidi aumentano e dove bisogna intervenire con urgenza con misure che consentano di arrivare alla situazione ideale, ampliando, ad esempio, il numero dei posti disponibili nelle carceri. Tra l’altro oggi ho qualche speranza in più, visti i 57 milioni di euro che posso destinare all’edilizia penitenziaria».
Alla fine però il suo primo decreto passerà come “l’operazione detenuti in questura”.
«Sarebbe un errore, perché sull’altro piatto della bilancia ci sono le misure alternative, su cui c’è una grande convergenza dei vertici laici e religiosi. Nei discorsi di Napolitano e del Papa ho avvertito una sorprendente sintonia e coincidenza di idee su molti aspetti, dalla funzione rieducative della pena, al rispetto della persona, alle pene alternative alla detenzione».
C’è un’ostilità Pdl perché nel pacchetto non è entrata quella che sarebbe stata subito battezzata “norma Papa”, per via del deputato finito in carcere, che avrebbe reso obbligatorio per il giudice dare i domiciliari anziché mandare l’indagato in cella?
«Credo e spero che riusciremo ad uscire dalla logica delle leggi ad personam e contra personam perché ogni norma incide sui processi in corso e sulla posizione di persone che sono sotto inchiesta. Ma una norma, se ha un’oggettiva validità , va portata avanti, al di là che possa avvantaggiare o svantaggiare una persona».
Garantisce che non l’hanno sollecitata a inserire questa norma con un’offerta di scambio?
«Assolutamente no, non ne ho mai avuta né la percezione, e neppure un indiretto sospetto».
Proprio lei da avvocato non ha paura di lanciarsi nell’uso delle camere di custodia, come preferisce chiamarle? Non teme soprusi, violenze, scarsità di controlli?
«Timori di strumentalizzazioni ce li abbiamo tutti, ma la mia certezza è che un fatto grave e anomalo possa accadere sia in quelle, sia in un penitenziario. Per Cucchi, ad esempio, c’è tuttora il dubbio se sia stato picchiato in cella di sicurezza o in carcere. In entrambi in casi, sarebbero degenerazioni che non dovrebbero mai verificarsi. Non stiamo paragonando le camere di custodia a un albergo a cinque stelle, ma mettiamo sul piatto della bilancia da una parte tre giorni in carcere, dall’altra due in camera di custodia»
E la sua conclusione?
«I traumi dell’ingresso in carcere possono essere superiori a quelli della temporanea detenzione in una camera di custodia. A chi non la pensa come me non posso non ricordare i traumi psicofisici che si accompagnano all’ingresso in una prigione».
Sia sincera, non teme agguati in Parlamento?
«La prossima settimana mi presenterò davanti alle commissioni parlamentari e ritengo che il loro contributo sia fondamentale per condurre in porto il provvedimento».
Amnistia. I detenuti l’hanno chiesta al Pontefice a Rebibbia. Non va detto un sì o un no per evitare illusioni inutili?
«Innanzitutto, durante e dopo la cerimonia, non ho sentito mai pronunciare la parola amnistia, ma solo frasi commoventi per dire “grazie per quello che state facendo per noi”. Solo alla fine qualcuno lo ha detto».
Un appello comunque c’è stato.
«Non posso che ribadire quello che finora ho detto, non spetta al governo proporre un’amnistia, ma al Parlamento. Se lì si formerà la maggioranza richiesta, certamente non mi opporrò».
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