by Editore | 21 Dicembre 2011 8:57
Protesi al seno pericolose per 4.300 donne italiane. Sono state prodotte dall’azienda francese Pip, accusata di averle realizzate con silicone non adatto all’uso sanitario. In alcuni casi avrebbero provocato addirittura il cancro. In Francia il ministero della Sanità ha richiamato le 30mila pazienti su cui sono state impiantate in questi anni. Il progetto è di toglierle tutte nel 2012. La decisione è stata presa dopo la scoperta di otto casi di tumore. L’allarme è stato girato a tutti i paesi dove la Pip ha commercializzato i suoi prodotti fino al 30 marzo del 2010, quando l’attività fu bloccata e tutte le protesi ritirate dal mercato per problemi che non si immaginavano così gravi ma comunque importanti: scoppiavano il doppio delle volte rispetto a quelle prodotte da altre aziende, tanto che duemila donne hanno presentato denuncia.
L’allarme francese è arrivato in Italia e ieri il ministro alla sanità Renato Balduzzi ha convocato urgentemente il Consiglio superiore di sanità (Css) per avere un parere sul da farsi. La riunione sarà domani e prima della fine dell’anno verrà presa una decisione. Non è escluso che sia drastica come quella francese.
In realtà il Css ha iniziato ad occuparsi del caso Pip già nel giugno del 2010, alcuni mesi dopo il ritiro dal mercato. Venne fatta una circolare per gli operatori e furono disposte analisi sul materiale usato nelle protesi per capire se fosse tossico. Addirittura si approfondì un parere dell’americana Food and drug administration in cui si studiavano le associazioni tra le protesi mammarie (di qualunque produttore) e un certo tipo di tumori. Anche l’Istituto superiore di sanità fu incaricato di alcune ricerche. Tra l’altro si è scoperto che nei cinque anni precedenti erano stati segnalati circa 30 incidenti, come rotture, che avevano coinvolto le protesi Pip. Il Css però non ha prodotto un parere. Pare che nelle riunioni si fronteggiassero due linee, quella di chi pensava a una soluzione simile a quella poi presa dai francesi, e una più attendista. Ci si chiese anche chi avrebbe pagato gli interventi, visto che le protesi vengono messe quasi esclusivamente presso strutture private, a spese delle pazienti. Balduzzi adesso ha chiesto spiegazioni e, scoprendo che il tema non aveva trovato una definizione, ha «convocato d’urgenza il Consiglio superiore di sanità ».
In Italia non esiste, come invece in Francia, un registro delle protesi utilizzate per il seno dai chirurghi plastici per motivi estetici oppure sanitari (questa seconda categoria rappresenta il 20% del totale). Questo rende difficile risalire al numero delle donne che tra il 2001, anno a cui risalgono i primi problemi, e il marzo del 2010 hanno avuto l’impianto delle Pip. Ci si basa sui dati dei fornitori per dire che le persone interessate sono 4.300. «Da tempo chiediamo questo strumento di controllo, in Parlamento è ferma una legge che lo istituisce», dice Francesco D’Andrea, della Società di chirurgia plastica. «Il registro servirebbe proprio per valutare le complicanze. Consiglio a tutte le donne che hanno le protesi Pip di tornare dal loro medico o da un altro chirurgo a farle vedere. Alcuni esami strumentali permettono di dire se vanno cambiate. Fortunatamente non rappresentano una fetta importante del mercato». C’è il rischio che alcune donne non sappiano se hanno quel tipo di protesi o altre, e quindi nel dubbio vadano a farsi vedere dal medico. «Ormai tutte le strutture serie rilasciano certificati con il numero di serie delle protesi ed altri elementi che permettono la tracciabilità – conclude D’Andrea – Credo che in poche non conoscano la ditta produttrice delle loro protesi. È grave che alcuni medici ancora non informino».
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