Prodi: via a eurobond e super Bce il tandem Berlino-Parigi ha fallito

by Editore | 28 Dicembre 2011 7:22

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Professor Prodi, dieci anni fa l’euro entrava per la prima volta nelle tasche dei cittadini. Oggi ci ritroviamo per una celebrazione o per un funerale?
«Diciamo che siamo di fronte alla necessità  di una rifondazione. Dobbiamo prendere atto dell’incompiutezza di quel progetto e portarlo a termine. Del resto anche allora lo andavo dicendo che non si poteva avere una politica monetaria unica senza una politica economica comune. Ma la reazione, di Kohl come di Chirac, fu netta: è meglio rinviare la fase due» 
Più che rinviarla, se la sono dimenticata…
«Sì. Perchè l’Europa è cambiata. E’ cominciata l’era della Grande Paura. Paura della globalizzazione. Paura della Cina. Paura del futuro. E la Germania si è fatta paladina di queste paure. Così tutto il processo si è rallentato. E quando è arrivata la tempesta non solo mancavano gli strumenti per affrontarla, ma anche la voglia di uscire dai porticcioli protetti degli egoismi nazionali».
Non le sembra che quella della globalizzazione fosse un paura giustificata?
«Non ha senso fuggire di fronte all’inevitabile. La globalizzazione ci impone una sfida. Ma era folle pensare di poterla evitare».
Nel suo libro appena uscito, “Dieci anni con l’euro in tasca” in cui dialoga con Delors, si dimostra ottimista sul futuro della moneta unica. Perché?
«Per la Germania l’uscita dall’euro sarebbe una tragedia mai vista. Certo, c’è una dosa di schizofrenia nella politica europea: l’analisi guarda al futuro, ma la prassi pensa solo al presente immediato. Si dà  addosso alla Grecia pensando alle elezioni in Nordrhein-Westfalen. Ma anche la schizofrenia ha un limite».
Eppure avrà  sentito anche lei le voci secondo cui la Germania starebbe stampando in Svizzera i nuovi marchi…
«Sì, le ho sentite. Ma sono, appunto, voci. Se si tornasse all’euro tedesco e all’euro italiano, il rapporto salirebbe immediatamente verso l’uno a due. E la Germania smetterebbe di esportare. Nell’ultimo anno la Germania ha registrato un surplus commerciale di 200 miliardi, di cui metà  verso la zona euro. Sarebbe cancellato in un attimo».
Chi avrebbe immaginato, solo pochi mesi prima che avvenisse, la fine dell’Urss? Non potrebbe accadere lo stesso con l’euro?
«Non credo. Quello sovietico era un sistema che aveva accumulato errori tali da non reggere più. L’euro, invece, è stato un elemento di stabilità  e di progresso. In questi dieci anni l’industria europea si è andata rafforzando molto più di quella americana. Abbiamo imparato a vivere con una moneta forte. I Paesi del Golfo e la Cina aspettano solo una politica di buonsenso da parte degli europei per riequilibrare le loro riserve valutarie a favore dell’euro».
E quale sarebbe questa politica di buonsenso?
«Una moneta comune va difesa con strumenti comuni. Occorre che la Bce sia autorizzata a fare il proprio lavoro, come lo fa la Fed. E occorre che gli eurobond, garantiti dall’oro delle banche centrali nazionali, consentano non solo di difendere il debito, ma anche di rilanciare gli investimenti, come hanno fatto Cina e Usa nel momento del bisogno».
I tanti errori della coppia Merkel-Sarkozy erano evitabili?
«Se governano in base ai sondaggi di opinione, no» 
Ma in democrazia si può fare altrimenti?
«Io l’ho fatto: dalle carceri, alla politica di cittadinanza, all’immigrazione. E ne ho pagato il prezzo. Ma non ho rimpianti».
Oggi l’Europa è più tedesca che mai…
«E lo è per colpa della Francia. Parigi ha voluto contenere da sola la Germania senza averne il peso. Questo direttorio a due ha rovinato l’Europa, perché in realtà  a comandare è solo la Germania. E Berlino insegue solo il suo interesse immediato». 
Ma se i grandi sbagliano impunemente, e i deboli, come è successo in Portogallo, Grecia e Italia, sono costretti a cambiare governi democraticamente eletti, che fine fa la democrazia?
«La democrazia va sempre in crisi se non si porta il processo democratico al livello in cui si prendono le decisioni vere, se il “potere del popolo” si esercita là  dove non c’è più potere reale. E’ quanto sta succedendo in Europa».
Allora non c’è via di uscita?
«Tanto per cominciare sono convinto che, come si sono dovuti cambiare i dirigenti dei Paesi perdenti, gli errori che si stanno accumulando sono talmente madornali che si finirà  per cambiare anche quelli dei Paesi cosiddetti forti. La crisi economica dell’Europa, che è ormai inevitabile, si scaricherà  su quelli che, a torto o a ragione, hanno avuto la pretesa di dirigerla. E a quel punto si potranno riaprire tutti i giochi»

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