Pressioni da Usa e Cina E la cancelliera apre: libertà d’azione alla Bce
Il problema della cancelliera adesso è che di lezioni dall’America ne ha fin troppe e diverse fra loro. Ha certo quella dei fatti, che induce Merkel a essere ancora più intransigente di prima. Dal 2009 la Federal reserve ha comprato oltre mille miliardi di buoni del Tesoro americano senza porre alcuna condizione per il suo aiuto. Il risultato è un Congresso paralizzato sul bilancio, mentre il debito sale verso il 100% e il deficit resta attorno al 10% del Pil: i politici non hanno fretta di dare risposte serie al problema perché la Fed, stampando moneta, ha regalato loro rendimenti dei bond decennali appena al 2,1% malgrado la finanza pubblica malata. È esattamente il tipo di dinamica che Merkel vuole impedire fra i governi dell’Europa del Sud e la Banca centrale europea.
C’è però poi anche la lezione dell’America dei leader, ed è con questa che ora Merkel deve fare i conti. Negli ultimi giorni il presidente Barack Obama ha telefonato alla cancelliera e le ha detto duramente che il tempo degli equivoci è finito. Berlino — è il messaggio di Obama — non può continuare ad alimentare la crisi con la sua intransigenza anziché contenerla. Il problema non è solo che le grandi banche americane, da Jp Morgan a Goldman Sachs, sono esposte sul debito in euro e sui suoi derivati per centinaia di miliardi. C’è anche una minaccia più generale: il default di un’economia sistemica come l’Italia o la Spagna, o la dissoluzione della moneta, genererebbero un’onda di choc impossibile anche solo da immaginare. Il crac di Lehman sarebbe al confronto un evento minore.
È esattamente lo stesso timore che si è installato a Pechino. Anche da lì negli ultimi giorni sono partite telefonate dai toni ultimativi per la cancelliera. Non è sorprendente: i leader cinesi hanno nell’Europa il loro primo mercato e nella Germania uno dei più grandi fornitori e clienti. La banca centrale di Pechino ha depositato in euro almeno 600 miliardi delle proprie riserve, oltre il 20% del totale: a maggior ragione ora che la Cina rallenta, un collasso dell’euro avrebbe un impatto destabilizzante anche per il Paese che oggi assicura la gran parte della crescita mondiale. Se c’è un messaggio comune nelle chiamate di Obama e dei cinesi, è dunque che l’Europa a questo punto deve guardarsi allo specchio. L’euro è la seconda valuta di riserva del pianeta e i suoi leader devono agire in coerenza allo status globale che rivendicano.
I toni dei colloqui avrebbero scosso la cancelliera, ma certo non l’avranno sorpresa. Quando la settimana scorsa i due leader comunitari José Manuel Barroso e Herman Van Rompuy si sono presentati a Washington, Tim Geithner li avrebbe trattati brutalmente. La prossima settimana il segretario al Tesoro di Obama sarà in Europa per vedere Mario Monti, Nicolas Sarkozy, il nuovo leader spagnolo Mariano Rajoy, Mario Draghi alla Bce, il ministro delle Finanze di Berlino Wolfgang Schà¤uble e il capo della Bundesbank Jens Weidmann. Geithner non lascia nulla di intentato. Sa che adesso Merkel, nel rispetto dell’indipendenza di Draghi, deve dare un tacito via libera alla Bce per agire di più a sostegno dei mercati, in contropartita a regole di bilancio più strette. In questo modo si può evitare la trappola in cui è caduta la Fed con il Congresso Usa. Ma va fatto ora: dopo può essere troppo tardi.
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