Pensioni, c’è intesa sui «ritocchi»

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ROMA — La road map della manovra da 30 miliardi l’hanno concordata nei minimi particolari. Via libera in commissione entro domenica con tre modifiche che potrebbero essere autorizzate dal governo: indicizzazione delle pensioni minime, fino a 1.400 euro, esenzione Imu sulla prima casa superiore al tetto dei 200 euro, graduazione delle quote per chi andrà  in pensione con sei anni di ritardo rispetto al regime precedente. Poi, voto in aula alla Camera giovedì 15 (con probabile fiducia) e approvazione finale al Senato il 22 o il 23 dicembre. Questo calendario è stato concordato nel corso dell’incontro tra il premier Mario Monti e i presidenti di Camera e Senato: tempi certi entro Natale e procedure d’urgenza che, grazie al voto di fiducia auspicato dai partiti per motivi di disciplina di gruppo più che imposto dal governo, taglierà  l’ostruzionismo della Lega, con un ruolo da fiancheggiatore dell’Idv.
Ma il governo guidato da Mario Monti — ricevuto ieri insieme al ministro Piero Giarda nello studio di Fini — ha ottenuto anche un altro prezioso aiuto dai presidenti di Camera e Senato. Contestualmente al calendario della manovra, Schifani e Fini hanno infatti confermato che, sul fronte del contenimento dei costi della politica, mercoledì 14 dicembre i rispettivi uffici di presidenza delibereranno la riforma (passando dal retributivo al contributivo fin dal 1° gennaio 2012) dell’attuale disciplina degli assegni vitalizi dei parlamentari.
La copia della manovra con il bollino della ragioneria dello Stato — 243 pagine — arriva alla Camera in mattinata e incassa subito un parere bipartisan della commissione Lavoro, che però suggerisce di elevare a 1.400 euro (tre volte l’assegno minimo) la soglia cui è ammessa la rivalutazione delle pensioni e il sottosegretario Michel Martone prende atto «della responsabilità  a ragionare a saldi invariati». Poi si riuniscono in seduta congiunta la Bilancio e le Finanze per ascoltare i sindacati confederali e dell’Ugl. Susanna Camusso (Cgil), Raffaele Bonanni (Csil) e Luigi Angeletti (Uil) usano un linguaggio asciutto per dire che la manovra va cambiata — più equità  incidendo sull’evasione e chiedendo meno sacrifici ai pensionati — e quindi confermano lo sciopero generale unitario di tre ore per lunedì 12. I leader sindacali lasciano anche una memoria ai relatori — Pier Paolo Baretta del Pd e Maurizio Leo del Pdl — ma con la convinzione che le modifiche al testo saranno minime.
Baretta e Leo hanno il compito di raccordare ciò che emerge dal dibattito in commissione con i paletti fissati dal governo: così, già  sabato, nella sala del Mappamondo dovrebbe materializzarsi un emendamento blindato dal governo e dai relatori (più mini che maxi) sul quale poi porre la fiducia in aula. Resta da vedere come si farà  a mantenere i saldi invariati: si parla di un ulteriore prelievo sui capitali scudati (dall’1,5% al 3%) mentre qualcuno nel Pd pensa a rimettere le mani sulle tasse di successione per i grandi capitali. Sempre sulle possibili entrate, però, parallela alla manovra sta montando la polemica sull’asta delle frequenze tv: «C’è un accordo sottobanco tra Monti e Berlusconi», azzarda Di Pietro (Idv). Per Gentiloni (Pd), «le frequenze valgono 1,5 miliardi e sono un bene pubblico che non può essere regalato per cui non ha senso percorrere la strada immaginata dal governo precedente». Il Pdl non ci sta e anche Casini (Udc) si fa interprete della linea del governo: «Meglio agire sulle cose su cui siamo d’accordo piuttosto che puntare su quello che potrebbe dividerci».


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