Palazzi, scuole, alberghi e ospedali tutti gli immobili di “Vaticano spa”
Quasi 160mila persone in fila su Facebook nel gruppo “Vaticano pagaci tu la manovra”. Un fiume di messaggi (venti al minuto ieri sera) su Twitter alla voce Ici-Chiesa.
La manovra Salva-Italia ha riaperto una ferita mai chiusa: quella delle esenzioni fiscali della Santa Sede Spa. Il loro valore reale è materia di discussione accademica: 3 miliardi l’anno dicono i Radicali (che nel mazzo infilano anche il miliardo dell’8 per mille). Poche centinaia di milioni – rispondono oltreTevere – meritatissimi da chi tra oratori, mense e servizi di assistenza finisce per tappare (gratis) i buchi del welfare pubblico. Unica certezza: la Ue ha aperto un’indagine per aiuti di stato sulle leggi salva-Vaticano: l’esenzione-Ici per le realtà no profit (laiche e cattoliche) e lo sconto del 50% sull’Ires per associazioni di assistenza e beneficenza. Una norma utilizzata in qualche caso da suore e preti – sospetta la Ue – per far funzionare ospedali, scuole e hotel facendo concorrenza ai privati. Il capitolo più delicato, come testimonia il dibattito in rete, è quello dell’Ici-Imu. La stangata sulla casa costerà 11 miliardi agli italiani. E in molti chiedono che anche la Chiesa faccia la sua parte: ieri lo hanno fatto con una proposta di legge venti deputati Pd.
Vaticano Real Estate
Quanto vale il patrimonio immobiliare della Chiesa? Una stima reale non esiste. I beni del Vaticano sfuggono a qualsiasi radiografia catastale. L’Amministrazione del patrimonio della Sede apostolica (Apsa), l’ombrello ufficiale del mattone di Dio, ha a bilancio beni per soli 50 milioni, ma si tratta di valori storici inattuali. In realtà ogni congregazione è un piccolo impero immobiliare a sé, in costante metamorfosi: solo a Roma, per dare un’idea, ci sono circa 10mila testamenti l’anno a favore del clero. Secondo il Gruppo Re, una società che gestisce immobili per gli enti ecclesiastici, il 20% del real estate italiano fa capo in un modo o nell’altro a realtà religiose. Le stime di settore parlano di qualcosa come 115mila immobili, quasi 9mila scuole e oltre 4mila tra ospedali e centri sanitari. A Roma sotto il cappello del Santa Sede ci sono 23mila tra terreni e fabbricati, 20 case di riposo, 18 istituti di ricovero, 6 ospizi. Solo il patrimonio di Propaganda Fide – finita nell’occhio del ciclone per la gestione disinvolta dei suoi appartamenti – vale qualcosa come 9 miliardi.
Un impero (quasi) esentasse
Le attività commerciali svolte da enti e realtà riconducibili alla Chiesa – l’ha ribadito ieri “L’Avvenire” – «sono tenute a pagare l’Ici e lo fanno. E chi non lo fa merita di essere sanzionato». Vero? Purtroppo è difficile dirlo. Perché la legge al riguardo è ambigua. Il Governo Berlusconi nel 2005 aveva esentato dall’imposta tutti gli immobili di enti no-profit senza distinzioni sul loro utilizzo. La minaccia di un’indagine Ue aveva convinto l’esecutivo Prodi a limitare il beneficio agli edifici «che non hanno esclusivamente natura commerciale». Il problema è l’avverbio. Nessuno, nemmeno quei mangiapreti dei Radicali, pretende che oratorie parrocchie paghino l’Ici. Nel mirino c’è l’immensa zona grigia in cui si trovano migliaia di altri beni della Santa Sede. Palazzi e ville trasformati in alberghi. Scuole private e ospedali che fan concorrenza a prezzi salatissimi con il pubblico. Oratori diventati palestre Vip. Oppure le 214 case per ferie censite sul sito di Roma Turismo, punta dell’iceberg di quel business del turismo religioso che nella capitale – come lamenta Giuseppe Roscioli, presidente di Federalberghi Roma – muove 10mila posti letto e 700 milioni di giro d’affari l’anno. Senza il fastidio dell’Ici.
La guerra in tribunale
Di casi come questi ce ne sono a migliaia in tutta Italia. La Cassazione ha obbligato l’Alma Mater, la clinica delle Suore infermiere dell’Addolorata di La Spezia, a pagare 38.327 euro di Ici perché lavorava a fine di lucro con pazienti privati. «In Provincia abbiamo un centinaio di situazioni di questo genere», racconta Paola Michelini, assessore al bilancio della città ligure. Cagliari ha spedito a decine di enti religiosi cartelle esattoriali («tutte oltre i 50mila euro», dicono all’ufficio tributi) secondo un criterio semplice: nessuna richiesta alla scuola privata che accoglie i bimbi a rischio del tribunale dei minorenni. Avvisi di riscossione invece a realtà come l’istituto Infanzia Lieta, dove si pagano fior di rette in concorrenza con la scuola pubblica o alla Casa della Studentessa delle Figlie di San Giuseppe, «130 camere usate d’inverno per le figlie delle famiglie più ricche e d’estate per i turisti». Le cartelle finiscono di solito in tribunale. E l’equivoco sulla natura «non esclusivamente commerciale» ha portato a una giurisprudenza confusa sull’argomento.
La posta in ballo
Quanto vale l’Ici (o l’Imu) non pagata sugli edifici della Chiesa? Anche qui dipende dall’avverbio. L’ufficio studi dell’Anci ha stimato qualche anno fa un gettito potenziale di 400-700 milioni di euro. L’Associazione ricerca e sviluppo sociale (Ares) si è spinta fino ai 2,2 miliardi. Luca Antonini, presidente della Commissione attuazione del federalismo fiscale, è più prudente. «Un’elaborazione del Tesoro fatta incrociando le dichiarazioni degli enti non commerciali con Irap e Iva, stima un gettito Imu di 70-80 milioni dal patrimonio ecclesiastico davvero “commerciale”». Il discrimine è il solito: l’ “esclusivamente”. Propaganda Fide e Apsa sono il secondo e terzo contribuente tra gli enti non commerciali a Roma, per carità . Ma solo un po’ di attività d’indagine del Comune della capitale sull’effettivo utilizzo degli edifici ecclesiastici ha portato dal 2005 ad oggi al recupero di 9,3 milioni di tasse.
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