Pakistan, Golpe annunciato e smentito, scoppia il «memogate»
Il generale Kayani ha così risposto alle accuse lanciate la vigilia dal primo ministro pakistano, Yusuf Raza Gilani, che in un attacco inusuale ai militari (pur senza nominarli) aveva denunciato «cospirazioni» per rovesciare il governo eletto. «Non ci può essere uno stato nello stato», aveva aggiunto (uno «stato nello stato» è come la defunta Benazir Bhutto aveva definito il Isi, il servizio segreto militare); tutti «devono rendere conto al parlamento».
Le rassicurazioni del generale Kayani sull’impegno democratico dell’esercito non avranno tranquillizzato molti in Pakistan, paese che ha una storia di colpi di stato e nei suoi 65 anni di vita ha visto più governi militari che civili. Il generale in capo ha del resto aggiunto che «non ci può essere compromesso sulla sicurezza nazionale», e questa è un’allusione all’ultimo strappo tra il potere civile e quello militare: lo scandalo suscitato da un memorandum in cui il governo (civile) chiedeva aiuto agli Stati uniti per impedire appunto un takeover dei militari.
Il memogate, come viene chiamato in Pakistan, ha tutti gli elementi di un intrigo internazionale. Il caso è scoppiato quando un businessman american-pakistano ha scritto in un commento sul Financial Times, in ottobre, che poco dopo l’uccisione di Osama bin Laden nel famoso raid americano, l’allora ambasciatore pakistano a Washington gli ha diede un memorandum perché lo consegnasse all’ammiraglio Mike Mullen, allora capo dello staff delle forze armate Usa: nel memo, il presidente pakistano Asif Ali Zardari (nella foto in alto Reuters) chiedeva aiuto contro i militari di casa propria, e offriva in cambio di smantellare parte del servizio di intelligence. Da quando il caso è scoppiato il presidente Zardari, l’intero suo Partito popolare e lo stesso l’ambasciatore pakistano a Washington, Hussain Haqqani, negano conoscenza di quel memorandum – mentre con ogni evidenza i militari chiedono soddisfazione. L’ambasciatore Haqqani è stato richiamato, un’inchiesta è in corso – anche se sarà difficile chiarire perché mai i militari avrebbero dovuto compiere un golpe dopo il raid che ha ucciso bin Laden, cioè quando la loro credibilità in Pakistan era al minimo. E comunque perché Zardari avrebbe dovuto compiere una mossa così ingenua come scrivere quel memo. Sta di fatto che il memogate ha alzato la tensione tra governo civile e vertice militare. Mentre anche la magistratura, una volta pronta a convalidare gli atti di potere dell’esercito, ieri ha dichiarato, per bocca del procuratore capo Iftikhar Chaudhry, che i giudici «non convalideranno alcun golpe militare».
Tutto questo mentre le relazioni tra l’esercito del Pakistan e gli Stati uniti sono al livello più basso da decenni. Umiliati dalla vicenda bin Laden, i militari pakistani ora chiedono scuse dopo al raid lungo la frontiera afghan-pakistana in cui le forze Usa hanno ucciso 26 soldati pakistani, il mese scorso. Ieri l’esercito Usa ha consegnato la sua inchiesta sull’episodio: riconosce di aver commesso un errore, ma aggiunge che sono stati i pakistani a sparare per primi. Come «scuse» non sono un gran che, e l’esercito pakistano ha subito respinto le conclusioni americane. A seguito di quell’incidente l’esercito pakistano del resto ha ordinato di trattare gli Usa come «nemico» in caso di intrusione in territorio pakistano. E uno show down su questo fronte non promette bene.
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