Pagati a corpo, i precari dell’economia dell’evento

by Sergio Segio | 13 Dicembre 2011 7:31

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Come il 40% degli studenti italiani, anche Francesco alternava libri e lavoro e rientrava nel 23,2% degli studenti che firmano un contratto a brevissimo termine, quello necessario per costruire l’impalcatura del concerto di Jovanotti al Palatrieste e morire. Poco o nulla si sa di questa economia, della sua logistica e del precariato strutturale che si vive nelle sue articolazioni interne costituite da service o cooperative che montano e si arrampicano su tubi innocenti, trasportano cavi, mixer e amplificazione. O, almeno, nulla sa il diritto del lavoro che non ha strumenti per comprendere la natura di un impiego precario che si svolge in un’impresa la cui esistenza è temporanea e intermittente. Come Francesco, e i 6 feriti per il crollo, ciascuna delle cento persone che ieri lavoravano all’allestimento è parte di una forza-lavoro flessibile in un’organizzazione instabile. Davanti a quella cattedrale accartocciata per il crollo del ground support che copre il palco e alloggia gli altoparlanti e i riflettori, 15 metri di altezza e 20×30 di larghezza, è possibile ricostruire il sistema di appalti e di subappalti che governa il lavoro postfordista e, ormai lo si può dire, il lavoro in quanto tale in Italia.
Al centro c’è un’azienda, in questo caso la Azalea production, che produce concerti e grandi eventi, vende biglietti, rifornisce le prevendite abituali nel Triveneto, organizza l’ufficio stampa. È possibile che questa azienda sia il terminale di una rete di piccole e piccolissime aziende di catering o di logistica, i tir che trasportano in tutta Italia il palco, oppure la cena per lo staff della star. Questa rete, tanto più ampia e complessa quanto più grande è l’evento da realizzare, viene quasi sempre attivata dalla produzione dell’artista di turno, oppure da una internazionale interessata a «piazzare» un evento a Catania o a Belluno. Ieri, davanti a quella maledetta cattedrale progettata da un «ingegnere abilitato», le 100 persone che lavoravano a progetto (si spera) erano abituate a essere pagate «a corpo», cioè ad assumere commesse da un privato, così come dal pubblico. È questa l’organizzazione del lavoro diffusa in tutti gli «eventi» culturali in Italia. Di forza-lavoro intercambiabile, spesso di ottima preparazione tecnica o musicale, ne fa uso l’amministrazione pubblica, a partire dagli assessorati alla cultura. Nell’economia dell’evento la presenza del governo locale è invasiva perché è dall’allestimento di una processione, di una mostra sul tartufo o sul fungo cardoncello che dipende la riuscita di una politica del «marketing territoriale» che attrae il turismo. A questa stessa organizzazione si rivolgono i sindaci, e le maggioranze di ogni colore, per risollevare le pericolanti sorti dell’economia di un territorio.
Francesco è una delle vittime di un mercato del lavoro strutturalmente precario dove la gestione di un evento viene affidata a terzi. La chiamano «outsourcing».

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