Ora Bersani teme per l’art.18
«La battaglia politica la incarno io e di fronte a questa posizione, chi vota no non vota contro il governo ma contro di me». Ieri pomeriggio alla camera, nella sala Berlinguer, Pier Luigi Bersani deve mettere sul piatto una posta alta per compattare i suoi. E così, spiega, il voto di stamattina vale come doppia fiducia. A Monti, in aula; e a lui, nel partito. Nonostante i ritocchi nel maxiemendamento, che il segretario cerca di enfatizzare, nel Pd i mal di pancia aumentano. Fra i deputati il più agguerrito è Cesare Damiano, già ministro del Lavoro e vicino alla Cgil. Gianni Cuperlo, dalemiano molto ascoltato. Stefano Esposito, torinese Sì-Tav ma no-Monti, e Antonio Boccuzzi, l’operaio della ThyssenKrupp scampato al rogo del 2007, minacciano di astenersi. Bersani si rivolge a loro perché tutti capiscano l’antifona: «Votiamo sì e non molliamo sulle pensioni. La questione dei lavoratori precoci è un fatto più simbolico che reale, visti i costi, ma va assolutamente risolto. L’Italia deve qualcosa a chi è andato in fabbrica a 15 anni. È un punto su cui non molleremo mai», dice. Esposito e Boccuzzi si convincono a dire sì. Damiano si rasserena: «Molto bene Bersani. Dobbiamo continuare a batterci per i lavoratori che entrano in fabbrica a 15-16 anni e per togliere le penalizzazioni per i lavoratori che vanno in pensione dopo 42 anni di lavoro e contributi». Per questi ultimi Damiano oggi presenterà un ordine del giorno che ha fatto firmare a tutte le forze che sostengono il governo, Pdl compreso (ha firmato Crosetto). Un secondo ordine del giorno chiederà un impegno per gli «esodati», i lavoratori che hanno accettato incentivi per andare in pensione e ora si ritrovano senza lavoro e senza mobilità . La proposta del Pd è che a queste categorie si provveda nel milleproroghe di fine anno. Ma ci sarà da combattere.Bersani riesce comunque a portare a casa il sì compatto dei suoi. Non potrebbe essere diversamente sul primo atto del governo Monti. Ma gli scricchiolii interni si sentono: «Bisogna avere fiducia che quello che non si è ottenuto fin qui lo si otterrà se stiamo assieme, dunque tutti quanti lavoriamo assieme alla ditta». Quel «se stiamo assieme» dà la misura dei timori del segretario.
Archiviata la manovra, a gennaio il governo presenterà la riforma del mercato del lavoro già annunciata dalla ministra Fornero. «Non mi si venga a dire che il problema è l’articolo 18. Confindustria annuncia 800mila posti di lavoro in meno nel 2013. Non credo serva una maggiore flessibilità in uscita. Più di così». Bersani non ha dubbi sul fatto «che per la riforma del mercato del lavoro non si sta parlando di art. 18 ma di ammortizzatori sociali all’europea per i giovani e per le fasce che non arrivano alla pensione. Sono sicuro che il governo e il ministro Fornero hanno perfettamente presente questo aspetto e ho gli elementi per dirlo».
E però, dalle anticipazioni sembrerebbe proprio che Fornero metta sul tavolo un ritocco allo statuto dei lavoratori. Damiano avverte: «Non vorrei che la riforma si riducesse in pochi soldi per gli ammortizzatori e l’allargamento della possibilità di licenziare. La manovra è stata migliorata ma quanto all’equità resta insufficiente. Nel secondo tempo dovrà andare diversamente. Abbiamo già dato». E Boccuzzi: «Il segretario mi ha rassicurato, sui pensionati non molleremo». E sull’art.18? «Credo che ci sarà da fare un battaglia ancora più forte». Stessa musica dalla sinistra del Pd. Al senato Vincenzo Vita voterà sì. «Non si può fare diversamente. Ma non potremo continuare a votare provvedimenti che non ci piacciono. Stavolta abbiamo guardato il testo con il quadrangolare, la prossima useremo lo zoom».
Pd compatto, dunque? Sulla manovra, e faticosamente. Non sull’art. 18. Ieri pomeriggio, subito dopo l’assemblea dei deputati, Veltroni ha riunito i suoi in un teatro vicino Montecitorio. Si è discusso, con Lupi (Pdl) e Della Vedova (Fli), di due libri. «Non ci resta che crescere» di Tommaso Nannicini e «Inchiesta sul lavoro» di Pietro Ichino, ormai una bibbia – quest’ultimo – dei liberisti del Pd. Neanche a dirlo, Ichino è strafavorevole alla modifica dell’art. 18, considerata «una riforma necessaria». «Il governo Monti deve avere il coraggio delle riforme, se si limitasse al risanamento perderemmo una grande occasione», ragiona il veltroniano Salvatore Vassallo.
E poi ci sono i centristi del Pd, da Follini a Fioroni, sempre più orientati verso l’alleanza con il Terzo Polo e quindi a sostenere Monti a prescindere, sperando così di esasperare le difficoltà del Pdl. Ma Berlusconi ha capito tutto e ieri ha annunciato un sì senza condizioni proprio all’abolizione dell’art. 18. «Sarebbe un bene per l’Italia, ma la vedo difficile da realizzare. Dipende tutto dalla sinistra, che è d’accordo con i sindacati». Se Monti dovesse provarci, il governo rischierebbe l’osso del collo. Ma prima il Pd
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