Necessità  e urgenza nel Paese dell’anomalia

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L’Italia vive una anomalia rispetto agli altri Paesi europei. Negli ultimi mesi abbiamo discusso molto intorno alla comparazione tra il debito nostrano e quello francese o quello tedesco, intorno alla mancata crescita del Pil o allo spread, che di comparazione appunto si nutre. Gli editorialisti dei grandi quotidiani hanno scritto fiumi di parole intorno alla necessaria, dolorosa ma giustificata perdita di sovranità . Si sono dichiarati disposti a perdere sovranità  in economia. Non si è invece mai disposti a perdere la sovranità  punitiva. Una comparazione di dati in ambito penitenziario ci dice che l’Italia è il Paese più affollato di Europa. Vi sono circa 150 persone per 100 posti letto. In Germania i posti letto invece sono più dei detenuti. In Norvegia vi sono le liste di attesa penitenziarie. Nessuno può entrare in galera se non c’è posto. L’Italia è il Paese con la maggiore presenza di detenuti ristretti per aver violato la legge sulle droghe. Una presenza doppia rispetto alla Germania. Infine è il Paese che incarcera più immigrati e che usa con più disinvoltura la custodia cautelare. Dopo un quindicennio di orgia securitaria, di parole urlate contro immigrati, lavavetri, tossicodipendenti; dopo aver sentito l’ex ministro Carlo Giovanardi affermare che Stefano Cucchi era morto perché era drogato; dopo le violenze verbali leghiste, ora ci troviamo di fronte a un provvedimento di urgenza preso dal governo per limitare i danni del sovraffollamento prodotto da leggi truci e forze politiche ottuse. Con un decreto legge non si approva un nuovo pacchetto sicurezza ma un provvedimento che va in altra e più sensata direzione. Questa è comunque una buona notizia. 
Il ministro della Giustizia Paola Severino ben sa – e lo ha esplicitamente affermato – che quello governativo non è un provvedimento risolutivo. È un provvedimento necessario ma non sufficiente. Il provvedimento prevede che tutti coloro che debbano espiare meno di un anno e mezzo di carcere possano andare a scontarlo in detenzione domiciliare sempre che abbiano una casa e non hanno commesso reati gravi. Prevede anche – nella consapevolezza che c’è un abuso nell’operato delle forze di polizia – un dimezzamento dei tempi di quella che è comunemente chiamata custodia pre-cautelare, da scontarsi comunque nelle camere di sicurezze di commissariati e caserme dei carabinieri. Si tratta di quelle migliaia di persone che entrano in carcere per pochi giorni, e che vi restano dal momento del fermo sino a quello della convalida giudiziaria dell’arresto. In moltissimi casi – e Stefano Cucchi era uno di questi – si tratta di fermi o arresti per fatti non gravi, la cui detenzione cautelare si risolve in poco tempo e può tranquillamente essere evitata. Attenzione, però, alle prime fasi della detenzione. Lasciarla incontrollata nelle mani di chi ha proceduto all’arresto può produrre ulteriori casi di violenza. Cucchi è stato pestato prima di entrare in carcere addirittura finanche nei seminterrati del Tribunale. Avremmo preferito che si fossero previsti per legge gli arresti domiciliari obbligatori. 
L’urgenza e la necessità  della questione carceraria erano state sollevate dal presidente della Repubblica alcuni mesi orsono, grazie alla iniziativa radicale di Marco Pannella per l’amnistia, oggi non esclusa dalla guardasigilli. È chiaro che dietro questa decisione governativa vi è l’incipit presidenziale. Ora sta al parlamento intervenire sulle cause sistemiche del sovraffollamento e delle violazioni dei diritti umani nelle carceri. Vanno abrogate le leggi sulle droghe e sulla recidiva. Va diversificato il sistema sanzionatorio. Vanno rivitalizzate e universalizzate le misure alternative. Va introdotto il crimine di tortura. Va istituita una figura indipendente di controllo di tutti i luoghi di detenzione. Su una cosa intendiamo insistere. Il sovraffollamento non giustifica mai le violenze. Noi ci siamo costituti parte civile in due processi per maltrattamenti – brutali – nei confronti di alcuni detenuti da parte delle mai dome squadrette. I fatti sono accaduti ad Asti e Firenze. Sarebbe stato bello vedere anche il governo costituirsi parte civile insieme a noi nel nome della legalità  e dello Stato di diritto. Domani il Pontefice va in visita al carcere romano di Rebibbia. Un segnale di attenzione della Chiesa che speriamo il governo faccia proprio per avere il coraggio di riformare in modo più duraturo un sistema oggi così malgestito.
* presidente dell’associazione Antigone


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