Napolitano in difesa del governo: “La democrazia non è sospesa articolo 18, basta toni sprezzanti”
ROMA – Tutte le più alte cariche radunate insieme al Quirinale, eccola qui nel salone degli Arazzi la fotografia di gruppo più completa e aggiornata dei vertici dello Stato, da Berlusconi a Monti. Giorgio Napolitano sceglie proprio la sede più solenne, nel giorno del tradizionale scambio degli auguri natalizi, per blindare il governo Monti, «titolo di merito e non motivo di imbarazzo per i partiti che lo sostengono», e lanciare al contempo un appello alle forze politiche: «Rinnovatevi. Anche cambiando la legge elettorale». Una ricostruzione dettagliata delle ragioni che lo hanno spinto a voltare la pagina del governo Berlusconi («giunto ad un punto limite») e, insieme, una sorta di road map per affrontare i prossimi, delicatissimi mesi. Fino alla fine della legislatura, dato che il presidente della Repubblica con forza rivendica quel «mio preciso dovere istituzionale» di evitare il ricorso alle urne dopo le dimissioni di Berlusconi e con altrettanta energia sbarra la strada ad ogni tentazione presente e futura di elezioni anticipate ricordando che «la data limite è già segnata dal termine naturale della legislatura». Rimprovera, sfogandosi pubblicamente dopo le critiche piovute dal centrodestra e da Berlusconi stesso, chi ha denunciato strappi istituzionali del Colle. «Solo con grave leggerezza si può parlare di sospensione della democrazia, in un paese in cui nulla è scalfito». Il Cavaliere subito corregge un po’ il tiro, l’ex ministro Calderoli insiste, «la democrazia non c’è più, Monti è l’uomo dei poteri forti», beccandosi la replica di Casini: «Non sa quel che dice, il governo è stato votato da una grande maggioranza in Parlamento». Ma Napolitano, mentre l’una vicina all’altra lo ascoltano ma fra loro non si parlano il ministro Fornero e la Camusso, chiama non solo i partiti a far quadrato attorno all’esecutivo ma si rivolge anche ai sindacati sul piede di guerra contro Monti. Non è difficile scorgere nelle sue parole il riferimento allo scontro in atto sull’articolo 18, fra il ministro del Welfare e leader della Cgil. Non giovano, scandisce il capo dello Stato, «giudizi perentori», le «battute sprezzanti», le «contrapposizioni semplicistiche». Ammonisce: «Si discuta liberamente e con spirito critico, ma senza rigide pregiudiziali e non rifuggendo da spinose assunzioni di responsabilità ». In tempi così difficili per il paese «si blocchi sul nascere ogni esasperazione polemica». Ci sarà , poi, al momento del brindisi, sul punto anche un breve scambio di battute fra il capo dello Stato e la Camusso. Però, nelle 21 cartelle del suo discorso lette tutte d’un fiato, il capo dello Stato a scanso di equivoci ha voluto precisare e rafforzare il suo appello alle forze sociali spiegando che «oggi e domani» e a «qualsiasi tavolo», è necessario «dare la priorità » alle condizioni dei «non rappresentati», dei giovani senza lavoro. L’obbligo morale di non scaricare sulle spalle delle nuove generazioni il fardello del debito pubblico è «la ragione fondamentale dei sacrifici che si stanno chiedendo agli italiani di ogni ceto sociale». E devono stringere la cinghia anche i politici, «concretamente e senza indugio è giusto che partiti e Parlamento assumano i necessari sacrifici finanziari». Ma, avvisa, attenzione ai rischi dell’antipolitica. Bacchettata alla Lega, «confermata la vanità della predicazione secessionista».
Partiti chiamati, in questa che il capo dello Stato descrive e racconta come una «fase di transizione» della nostra scena politica, a fare la propria parte. Quale? In una sola parola: «Rinnovatevi, apritevi alla società ». Il programma del governo non è «onnicomprensivo», ci sono temi e compiti delle Camere. «Il Parlamento – chiede con forza Napolitano – recuperi il tempo perduto, in un sussulto conclusivo di operosità riformatrice». Se non modifiche della seconda parte della Costituzione o dei regolamenti parlamentari, ambizioni grandi ma cadute nel vuoto, almeno rimettere mano al Porcellum. Dunque, avanti col governo Monti, nato fuori «dagli schemi tradizionali», frutto un «lungo travaglio politico», ma nessun ribaltone o tradimento del risultato elettorale. Sono stati i partiti a decidere di non entrare dentro il governo tecnico, ricorda Napolitano. E i ministri, scelti dal presidente del Consiglio, come prevede la Carta, non devono essere per forza uomini dei partiti. Sono persone «politicamente indipendenti». A loro tocca prendere «decisioni necessarie, ostiche, perfino impopolari, ma senza essere condizionati da vincoli di partito».
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