Monti: “Non è stato un fallimento” A marzo la firma del nuovo Trattato

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BRUXELLES – «Forse non basta, ma non mi sembra un vertice dei fallimenti». Sia pure senza sbilanciarsi, Mario Monti appare soddisfatto dell’esito del summit per «salvare l’Euro». E come lui lo sono anche gli altri protagonisti di questo infinito Consiglio europeo, chiuso dopo una sfiancante maratona notturna e con lo «strappo» di Londra. Il presidente francese Nicolas Sarkozy, per cominciare, che tanto ha premuto insieme al Cancelliere Angela Merkel per raggiungere il «fiscal compact», l’accordo di bilancio a 26 e ora addossa al collega inglese David Cameron la responsabilità  di una «Europa a due velocità »: «Ha posto condizioni inaccettabili», in difesa degli interessi della City. Raggiante, la signora tedesca dichiara: «Ho ottenuto quello che volevo per l’euro», cioè rigore e sanzioni. Non i temuti eurobond, ovviamente, su cui però «il lavoro va avanti», come puntualizza Monti. È toccato proprio al Professore, al suo esordio sul palcoscenico Ue in veste di premier, tentare la mediazione: «Avrei preferito una intesa a 27». Racconta anche di essersi a tratti «accalorato» per smuovere i colleghi più austeri «cosa che com’è noto mi capita molto raramente»: «Io ero un parvenu in questo circolo, ma mi è sembrato un ambiente di persone perbene». Comunque, «l’Italia ha svolto un’azione importante»: oggi è «visibilmente più credibile». E a riprova della nuova considerazione del paese tra i Grandi, annuncia: Sarkozy e Merkel saranno a Roma a metà  gennaio. Nel mezzo, sarà  lui a prendere un volo: destinazione Washington, da Obama. Fiscal compact, dunque, un’«espressione felice», come la definisce Monti, che «spiega bene il senso di patto». Scherza: «Quasi quasi potevo usarla anch’io nel decreto legge» sulla manovra. Di fatto, è un’idea di Mario Draghi, neopresidente della Bce, l’altro protagonista di questo summit, sia pure più dietro le quinte: sempre presente a tutte le riunioni, a dare consigli, a suggerire soluzioni. Dicono che sia stato proprio lui, che quotidianamente fronteggia la crisi dei mercati con un massiccio shopping di titoli di stato dei paesi deboli, a tessere parte della tela diplomatica per non trasformare il summit in una debacle. Rilascia solo un breve commento, lasciando il palazzo del Consiglio alle 5 del mattino: «Il risultato del vertice è molto buono per la zona euro. Sarà  la base per una maggiore disciplina nelle politiche economiche dei paesi membri». E dire che, a quell’ora, l’accordo è ancora a «17+6», cioè i paesi di Eurolandia, più quelli fuori dall’unione monetaria, con Inghilterra e Ungheria defilate: quest’ultima, più tardi, ci ripenserà . Ma soprattutto, sarà  la Bce a gestire l’armamentario di strumenti anti-crisi, fondo salva-stati in testa. I mercati rifiatano. Scettico il presidente dell’Eurogruppo Jean Claude Juncker: «Non penso che questo sia l’ultimo vertice per salvare l’euro». Chissà . Le tv a circuito chiuso rimandano di tanto in tanto le immagini dei leader alle prese con i guai di Eurolandia. Si vedono Monti e Sarkozy, per esempio: «Una personalità  non fatta di nuances», nota il premier. Ecco Draghi con Merkel. C’è anche Cameron che tenta di stringere la mano al collega francese e questi pare far finta di non vederlo: ne nasce un «giallo» che gira sui web britannici. Su quelli italiani, invece, c’è un «siparietto» tra il presidente del Consiglio e la sua assistente, Betty Olivi, durante la conferenza stampa finale. «Ancora poche domande», dice la signora. «Il Professore deve riposare». E il premier: «Perché riposare? Devo tornare a Roma a lavorare…». Gli chiedono anche: cosa vorrebbe regalare agli italiani per Natale? «Un momento di serenità  e di speranza».


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