by Sergio Segio | 7 Dicembre 2011 9:05
ROMA – «Sessantacinquemila euro di spese non giustificate». Il direttore del Tg1, Augusto Minzolini, è stato rinviato a giudizio per peculato, ovvero conti di ristorante pagati per 14 mesi con la carta di credito Rai . «Senza indicare né i motivi di lavoro né gli ospiti». Il giornalista ha già restituito la somma in questione. In udienza ha detto di non «aver avuto la percezione di commettere un illecito», ma la procura ha sottolineato «l’uso disinvolto del denaro altrui». Il gup, Francesco Patrone, ha fissato l’inizio del processo l’8 marzo 2012 davanti al tribunale di Roma. La Rai ha annunciato la costituzione di parte civile. Cioè chiederà il risarcimento «per il danno di immagine». Pd, Italia dei valori e Fli sollecitano le dimissioni. Il comitato di redazione del Tg1 va all’attacco, chiede al direttore un passo indietro e all’azienda una nuova nomina «autorevole».
«Vogliono farmi fuori», sbotta Minzolini appena fuori dall’aula. «Per due anni nessuno mi ha contestato nulla. Poi improvvisamente, due settimane prima del voto di fiducia al Senato del 14 dicembre dell’anno scorso, quando si aspettava la caduta di Berlusconi, è scoppiato il caso. Quella carta di credito mi era stata concessa perché assumendo la direzione in Rai, dovevo lasciare una collaborazione con un settimanale. Infatti ora che ho restituito la carta sono tornato a scrivere per Panorama. Per me quelle spese erano per l’esclusiva che mi era stata richiesta». Il gup lo ha prosciolto dalle accuse relative a trasferte e soggiorni anche all’estero. Minzolini si infiamma: «Sfido chiunque. Non c’è un direttore in Italia che sulle note spese indichi il nome degli ospiti nei pranzi di lavoro». Ma per il giudice la carta Rai non è un benefit di cui disporre liberamente. Ed è proprio su questo che Minzolini se la prende con il suo ex direttore generale. «Mauro Masi è un pusillanime», dice.
Esiste un carteggio tra il direttore del Tg1 e l’ex dg della Rai. Masi ha scritto a Minzolini ma anche al consigliere Rizzo Nervo che chiedeva spiegazioni: «La carta aziendale è da considerarsi solo una facility». E al procuratore aggiunto Alberto Caperna, che ha condotto l’inchiesta, l’ex dg ha spiegato che, appunto, «quei 65 mila euro dovevano essere giustificati». Sicuramente da quando è in vigore la circolare Cattaneo del 2003.
«Ho verificato personalmente che i miei predecessori non hanno mai fatto nomi in nota spese – dice Minzolini – Ma la cosa che più non sopporto è che vengano utilizzati strumenti del genere per raggiungere l’obiettivo. Viviamo in una società di trogloditi». Di Pietro, che lo aveva denunciato, lo invita a «dimettersi e a lasciar lavorare la magistratura». Il Pdl fa scudo, parla di «tentata eliminazione del direttore del Tg1 per via giudiziaria». Solidarietà da Alfano e Cicchitto. «Non so quanti avrebbero restituito i soldi come me», insiste l’imputato. I suoi legali, Franco Coppi e Carlo Pandiscia, affermano che «la Corte dei conti ha archiviato l’indagine». Ma Pd e Fli sollecitano «l’intervento tempestivo» del cda e della direzione generale della Rai. «Un direttore che perde milioni di telespettatori verrebbe sollevato – dice Fabrizio Mori, capogruppo dei democratici in commissione di Vigilanza – Persino in assenza di processi per reati odiosi come il peculato».
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