Mesto compleanno per la moneta unica nuovo anello debole tra dollaro e yen

by Editore | 31 Dicembre 2011 8:07

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Le ultime 48 ore dell’anno che si chiude sono segnate da una caduta al minimo da 15 mesi sul dollaro (1,29) e al minimo storico assoluto sullo yen nipponico. Il raffronto con la moneta del Giappone è interessante perché si tratta del paese col più alto debito pubblico del mondo (in proporzione al suo Pil). E’ interessante anche perché da tempo il Sol Levante è il laboratorio di una sindrome economica preoccupante: la depressione cronica, la stagnazione che si fa endemica, in un’economia matura che non trova più le ragioni per crescere. 

Europa, de te fabula narratur
Lo stesso Giappone peraltro ha appena fatto scalpore annunciando l’intesa con la sua storica rivale, la Cina: per allargare l’uso del renminbi cinese nei pagamenti dell’import-export. E’ una decisione che la dice lunga sullo scetticismo degli asiatici verso l’euro, teoricamente candidato (alla sua nascita) ad affiancare il dollaro negli scambi globali. Dall’Oriente un’altra avvertenza ci arriva proprio nelle ultime ore dell’anno: Cina e India sono ugualmente preoccupate per il sensibile rallentamento della loro crescita. Le locomotive emergenti hanno chiuso il 2011 perdendo colpi. Una di loro, il Brasile, è passata dal boom allo stallo nel giro di pochi mesi. Non è una buona notizia per noi. L’unico risvolto positivo dell’euro debole è il vantaggio competitivo che dovrebbe dare alle nostre esportazioni sui mercati terzi: ma l’export non tira comunque, se i mercati emergenti perdono colpi. L’anno che si conclude è stato segnato da sconvolgimenti repentini nei rapporti tra le monete. In parte c’è stata una vera e propria “guerra valutaria”, che ha visto Stati Uniti e Cina impegnati a spingere al ribasso il cambio, con altri paesi (Svizzera e Giappone) mobilitati per impedire una rivalutazione eccessiva delle proprie monete. 
E’ stato anche un anno di montagne russe, oscillazioni violente e rovesciamenti improvvisi, nella percezione delle forze rispettive. Il 2011 è cominciato all’insegna dei Bric (Brasile Russia India Cina), le potenze emergenti sembravano le uniche ancora piene di energia e di capacità  di crescere. Poi i timori di bancarotte sovrane hanno spinto i capitali verso l’oro e monete-rifugio come la svizzera e la giapponese. Alla fine, dopo l’estate i timori di implosione dell’eurozona hanno rilanciato l’appetibilità  del dollaro come approdo sicuro in tempi turbolenti. Questa rivincita dello Zio Sam la dice lunga sulla debolezza del Vecchio continente: l’America ha un debito superiore alla media europea, e tuttavia è considerata un investimento più affidabile in tempi d’incertezza. Che l’euro compia dieci anni perdendo quota sul dollaro, non è in sé una catastrofe e tantomeno una sorpresa. 

segnali di ripresa in usa
Con i Bric che rallentano, e l’Europa sottoposta a dosi massicce di austerity, chi scruta l’orizzonte cercando un raggio di speranza è portato in questa fase a guardare verso gli Stati Uniti. Sarebbe una bella e salutare sorpresa, se in un anno di elezioni l’America trovasse la forza per trainare il resto del mondo verso la ripresa. Attenzione a non dipendere troppo da questo scenario, però. Il braccio di ferro tra Barack Obama e la destra repubblicana maggioritaria alla Camera, preclude manovre di rilancio sostanziali. Se l’America si risolleva, sarà  un processo graduale come si addice a un organismo convalescente da una lunga e dolorosa malattia (la crescita “tossica” degli anni pre-2008). E’ altamente improbabile che la crescita Usa possa da sola compensare gli effetti recessivi del rigore di bilancio imposto all’eurozona dall’ortodossia germanica. Il valore dell’euro sarà  il termometro costante dell’indice della fiducia nei nostri confronti. “Nostri”, anzitutto come italiani. E’ evidente anche a Wall Street, che uno dei mega-eventi del 2012 sarà  il rifinanziamento del Tesoro italiano per 400 miliardi di euro. Attraverso l’andamento delle aste dei nostri Bot e Btp, la finanza globale ci dirà  quanto crede che l’Italia sia in via di risanamento (ieri lo spread Btp/Bund ha chiuso l’anno su livelli elevati: 527 con i rendimenti dei titoli decennali a 7,11%). Ma non di solo spread è fatta la fiducia. Dai dati sul Pil e sull’occupazione nei Piigs (Portogallo Italia Irlanda Grecia e Spagna) gli investitori del mondo intero dedurranno se la cura dell’austerity sia ragionevole, o se stia uccidendo il paziente. Se l’euro dovesse continuare a scendere, il beneficio per i nostri esportatori sarà  alla fine cancellato dai danni che una moneta debole genera: nella sua funzione di custode del valore dei risparmi.

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