by Editore | 15 Dicembre 2011 7:31
ROMA — La tremarella è tornata. Lo spettro di un taglio delle buste paga ben più crudele di quello che le ha colpite finora si aggira per le pubbliche amministrazioni, le società di Stato, le authority. Trema il capo di gabinetto di Mario Monti, Vincenzo Fortunato, recordman della sua categoria. Ma anche il capo del Poligrafico dello Stato, Maurizio Prato. E perfino il presidente dell’Antitrust.
Giovanni Pitruzzella aveva già subito un bel salasso: 60 mila euro. L’incarico di consigliere giuridico di Ferruccio Fazio è evaporato assieme alle dimissioni dell’ex ministro della Salute. Poco male. Nel cambio, l’avvocato siciliano tenuto in grande considerazione dal suo conterraneo presidente del Senato Renato Schifani, ci ha senz’altro guadagnato. Prima era a capo della commissione di garanzia degli scioperi: 118 mila euro. Arrivato Mario Monti a palazzo Chigi, il presidente dell’Antitrust Antonio Catricalà l’ha seguito e lui ha preso il suo posto: 475.643 euro e 38 centesimi. Ragion per cui rischia ora che gli venga chiesto un nuovo e più doloroso sacrificio. Sempre che, naturalmente, abbia successo, e fino in fondo, l’ultima trovata dei relatori della manovra governativa: mettere un limite alle retribuzioni di «chiunque riceva a carico delle finanze pubbliche emolumenti o retribuzioni nell’ambito di rapporti di lavoro dipendente o autonomo con pubbliche amministrazioni statali». Non potranno superare lo stipendio del primo presidente della Corte di Cassazione. Trecentoundicimila euro, più o meno.
«È una vendetta dei parlamentari, che non digeriscono il taglio della loro indennità conseguente all’applicazione della media europea», ringhia un altissimo burocrate. Resta solo da vedere se questa volta, per tutti i manager pubblici che nonostante i tagli già fatti continuano a guadagnare più di quella cifra, sarà disperazione autentica. Perché quel tetto in realtà già esiste, anche se finora quasi nessuno se n’è accorto.
L’aveva introdotto Romano Prodi, fra i mugugni di tanti. Poi era ritornato Berlusconi ed era iniziata una melina di due anni. Finalmente, nel giugno del 2010, il Consiglio dei ministri aveva sfornato il regolamento attuativo di quella norma. Che però salvava i contratti in essere. Escludendo anche la Banca d’Italia e le authority. Ecco dunque che Pitruzzella può sperare, nel caso ora andasse in scena lo stesso copione. Perché per stabilire come e a chi esattamente quel tetto si applicherà , sarà necessario attendere il solito decreto attuativo.
Così non possiamo ancora dare nulla per scontato. Nella peggiore delle ipotesi, il presidente dell’Antitrust (inequivocabilmente pagato dalle pubbliche finanze, a differenza del presidenti delle altre authority) dovrà rinunciare a 160 mila euro lordi l’anno. Ma soffriranno anche i capi delle Agenzie fiscali, tutti retribuiti oltre quel limite. Il direttore dei Monopoli di Stato Raffaele Ferrara, titolare di una paga di 389 mila euro, dovrebbe perdere 78 mila euro. Idem il segretario generale della Farnesina, Giampiero Massolo. Il capo dell’Agenzia delle Entrate Attilio Befera ha emolumenti per 460 mila euro: non percepirà più il compenso di Equitalia (160 mila euro). Altrettanto dura sarà per il Ragioniere generale dello Stato Mario Canzio, al quale spettavano prima dei tagli imposti 516 mila euro l’anno. Destino simile dovrebbe avere Fortunato. Il suo compenso non è disponibile sul sito istituzionale del ministero dell’Economia, come del resto accade (incredibilmente, alla faccia della trasparenza) per quelli di quasi tutti i capi di gabinetto e gli alti vertici delle burocrazie. È tuttavia noto che è di gran lunga il più elevato per l’incarico: non inferiore a quello percepito dal direttore generale del Tesoro (oltre mezzo milione di euro). Un taglio ben più pesante di quello che rischia Fortunato avrebbe già subìto la retribuzione di chi occupava fino a qualche giorno fa quel posto, vale a dire Vittorio Grilli. A lui, paradossalmente, il tetto gli fa un baffo: passato al ruolo di viceministro dell’Economia si è dovuto accontentare della paga governativa (circa 50 mila euro) più un’indennità pari a quella parlamentare, come spetta per legge a tutti i componenti dell’esecutivo non provenienti dal Parlamento. Grasso che cola se adesso racimola (si fa per dire) centottantamila euro.
Ma le sorprese non finiscono qui. Perché l’emendamento «della vendetta» se la prende anche con i magistrati che hanno il doppio incarico. Capi di gabinetto e capi degli uffici legislativi, solitamente ingaggiati dai ruoli della Corte dei conti, dei Tar e del Consiglio di Stato non potranno più cumulare lo stipendio da magistrato «fuori ruolo» con il compenso governativo. Non tutto, almeno: soltanto il 25% di quello che già prendono dall’amministrazione di provenienza. Facciamo il caso non di un magistrato, ma di un ambasciatore: il consigliere diplomatico del ministero dello Sviluppo economico, ora retto da Corrado Passera. Ipotizzando che l’ambasciatore Daniele Mancini abbia dalla Farnesina uno stipendio (nel sito non figura, come al solito) di 200 mila euro, a questo aggiungerebbe la retribuzione di 102 mila euro prevista per il suo incarico allo Sviluppo. Ma siccome non potrebbe incassare più del 25%, allora dovrebbe subire un taglio di 50 mila euro.
E non se la caverebbero neppure gli amministratori delle società pubbliche non quotate. A loro non si applicherà il limite dei 311 mila euro: verranno invece fissati tetti per fasce diverse, a seconda delle dimensioni della rispettiva azienda pubblica. Ma anche in questo caso deciderà un futuro decreto attuativo. Circostanza che rende la partita ancora apertissima: almeno per i contratti in essere. Che fine farà la retribuzione dell’amministratore delegato delle Poste Massimo Sarmi (un milione e mezzo l’anno)? E quelle del suo presidente Giovanni Ialongo, ex sindacalista della Cisl (635 mila euro, dice la Corte dei conti)? Dell’amministratore delegato di Fintecna Massimo Varazzani (750 mila)? Del capo della controllata Fintecna Immobiliare Vincenzo Cappiello (505 mila)? Dell’amministratore delegato di Invitalia Domenico Arcuri (835 mila euro, rimborsi compresi, secondo la Corte dei conti)? O del suo collega della Fincantieri Giuseppe Bono, al quale spettano 600 mila euro l’anno senza considerare la parte variabile legata ai risultati? Belle domande…
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