L’utopia socialista di «Shakespeare and Company»

by Editore | 16 Dicembre 2011 7:14

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La celebre libreria «Shakespeare and Company» di Parigi ha perso il suo leggendario proprietario George Whitman. Sarà  sepolto a Pere Lechaise, tra quelle mura dove vennero fucilati gli ultimi comunardi che tanto ammirava, in compagnia di quegli autori, artisti ed esiliati politici le cui opere trovarono sempre un posto di riguardo nei labirintici scaffali del suo negozio.
Grazie a una modesta eredità , George aprì il suo «little Rag and Bone Shop of the Heart» nel 1951 dopo un lungo vagabondaggio a piedi che lo portò da San Francisco fino a Panama e un soggiorno a Venezia dove imparò l’italiano da autodidatta, traducendo ogni notte pagine intere dei Promessi sposi e delle Operette morali. 
La passione per la cultura italiana fu veicolata da un infaticabile impegno politico che trovò il suo fondamento quando a 13 anni s’appassionò alle sorti di Sacco e Vanzetti. Una loro foto è tutt’ora appesa nella sua stanza e riporta in calce un celebre passaggio dell’ultimo discorso pronunciato da Vanzatti davanti alla Corte. Negli anni universitari ad Harvard, George si unì ai tanti movimenti marxisti che fiorirono negli Stati Uniti della Grande Depressione, ferocemente criminalizzati dai processi di McCharty e che furono omaggiati dal suo amico Allen Ginsberg in una celebre poesia America (When will you be worthy of your million Trotskyites?). 
George si definì più volte un comunista, un idealista o un utopista. Mantenne un rapporto intermittente con le istanze del Pci e del Pcf e in generale con la politica istituzionalizzata, prediligendo piuttosto gli intellettuali non ortodossi come Pasolini o i suoi amici Jean-Paul Sartre e Simone de Beauvoir. Quest’ultima gli donò gran parte della sua biblioteca prima di morire affinché i suoi libri fossero alla portata dei tanti ospiti della Shakespeare and Company. Quando riusciva, leggeva  L’unità  o il manifesto. Il Don Chisciotte della Rive gauche amava chiamare la sua libreria una «piccola utopia socialista», e fin dall’apertura iniziò a ospitare scrittori o artisti squattrinati a cui veniva chiesto di compilare una breve biografia, leggere il più possibile e qualche ora di lavoro al giorno. Le pagine «scientifiche» di Naked Lunch di Burroughs e The Bomb di Corso nacquero dalle frequentazioni che entrambi gli autori intrattennero con la biblioteca personale di George. 
La libreria doveva essere innanzitutto una fucina intellettuale, un laboratorio non autoritario il cui proprietario si limitava ad osservare incoraggiandoli ed ispirandoli i propri ospiti, e il vender libri era quasi un alibi, un piacevolissimo duty che serviva a non serrare i battenti. Cosa che comunque accadde in due occasioni. Nel 1967 quando per mancanza di una licenza dovette chiudere per poi riaprire grazie a una petizione sottoscritta tra gli altri da Neruda, Miller, Sartre, Nin e Durrell. E nel 1991 a causa di un incendio doloso: fino all’ultimo George tentò di salvare dalle fiamme gettando dalla finestra i suoi libri.
Da qualche anno George aveva passato il testimone alla giovane figlia Sylvia che d’allora si è dimostrata degna erede del padre, ritirandosi  nella sua stanza a leggere e a riordinare le innumerevoli biografie di quanti hanno soggiornato nella suo negozio. Da allora ha incarnato ancor di più, se possibile, il ruolo di un Diogene moderno, avverso a qualsiasi spreco e mostrandosi impertinente verso gli uomini di potere.

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