Londra, i piccoli schiavi della marijuana nelle serre segrete operai bambini vietnamiti

by Editore | 30 Dicembre 2011 8:04

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LONDRA – Intrappolati giorno e notte dentro stanzoni con le finestre oscurate, niente aria, la luce sempre accesa e le esalazioni chimiche nel naso, con il compito estenuante di curare e annaffiare preziose piante di marijuana. I ragazzi vietnamiti vittime del traffico clandestino che li porta in Gran Bretagna vivono così, schiavi dei loro connazionali che gestiscono i tre quarti di un affare diventato sempre più remunerativo, in un Paese dove ormai il 90% della cannabis è prodotto in casa.
«Avevo paura a tentare la fuga: niente documenti né soldi, non parlo inglese, appena uscito da lì mi potevano arrestare», racconta Chang ad Al Jazeera. Ha 18 anni, ora, ma ha vissuto quattro anni in una fattoria di cannabis dopo essere stato ceduto dalla famiglia per ripagare i debiti, come molti altri ragazzi vietnamiti. Le cifre ufficiali sono scarne: solo 58 minori vietnamiti riconosciuti ufficialmente vittime del traffico e dello sfruttamento criminale negli ultimi 12 mesi, tutti trovati nelle fattorie della cannabis. Ma secondo gli esperti delle associazioni non governative, la maggior parte di loro, in genere fra i 13 e i 16 anni, viene arrestata e trattata come colpevole. Motivo per il quale non esiste una statistica a parte che li conti.
Christine Beddoe di End child prostitution and traffiking (Eliminare il traffico e la prostituzione di minori) ha assistito a uno di quei processi. «Il tema era la droga – racconta – non il traffico e lo sfruttamento del minore. Erano tutti lì, procuratore, giudice, legali, a parlare di “boss della droga”. Ma avevano davanti un ragazzino di 14 anni. Perché in genere la polizia trova solo loro, quando fa irruzione». Le fattorie sequestrate sono ormai fra le due e le tre al giorno. Il traffico frutta, gli inglesi consumano quotidianamente tre tonnellate di cannabis e le coltivazioni proliferano, in vecchi siti industriali dismessi, nei depositi abbandonati, negli scantinati e persino in stanze vuote delle scuole elementari, come in quella scoperta una settimana fa a Londra. Dentro, i vietnamiti mettono i ragazzi. Li hanno avuti in cambio del debito contratto dai genitori per emigrare in Gran Bretagna, oppure prendendoli in Vietnam da famiglie che hanno altri debiti, per esempio con l’ospedale, come i genitori di Chang. Li ricattano: se scappano, se parlano, sarà  la famiglia a subirne le conseguenze.
A loro non va un penny. Mangiano poco e male, dormono vicino alle piante, vivono per curare con prodotti anche pericolosi i germogli, poi le foglie. Eseguono alla perfezione le mosse per il processo di essiccazione. E non sanno quando finirà . Arrestati dalla polizia, accettano le accuse, il processo. C’è chi cerca di aiutarli, un’ong che prova a rivelare quello che tutti sanno, raccontando dei coetanei ancora in schiavitù, ma loro parlano molto raramente. Piuttosto, quando escono in libertà  provvisoria si affrettano a tornare dai loro sfruttatori e riprendere il lavoro: li guida la paura. Hanna Bickers, portavoce del Child exploitation and online protection centre (Centro contro lo sfruttamento dei minori e la loro protezione online) spiega: «Siamo l’organismo governativo di collegamento fra le ong e le istituzioni. Le nostre ultime cifre parlano di 184 casi di traffico accertati fra gennaio e settembre, con 67 africani, 67 asiatici di cui 48 vietnamiti e 50 dell’Europa dell’Est». Solo 48 in nove mesi. La Gran Bretagna ha firmato la Convenzione europea contro il traffico e lo sfruttamento di minori, ma la giustizia inglese segue i suoi metodi. Un documento firmato tra gli altri da Amnesty international e Unicef denuncia: «Le autorità  del Regno Unito non considerano i minori chiusi nelle fattorie di cannabis come vittime di traffico di esseri umani introdotti illegalmente nel Paese. Un’interpretazione della legge estremamente preoccupante».

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