«La privatizzazione della terra farà  esplodere tutto il paese»

by Editore | 21 Dicembre 2011 9:15

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È tenendo presente questa complessità  che il professor He Xuefeng, direttore del Centro di ricerca sull’amministrazione della Cina rurale all’Università  Huazhong di Wuhan, dove lo incontriamo, invita a osservare gli attuali conflitti. Oggi in Cina la terra è di proprietà  pubblica e solo i diritti d’uso appartengono alle famiglie. L’opinione corrente è che se fosse introdotta la proprietà  privata della terra, gli usufruttuari si difenderebbero meglio dai soprusi dei governi locali. In realtà  sulla questione, afferma il professor He, il fronte contadino è diviso. Le più forti pressioni a privatizzare vengono dalle periferie delle città  e nelle aree di sviluppo industriale dove si trova il 5% dei 700 milioni di agricoltori. Sono le aree degli scontri più accesi, dove i contadini chiedono più forza legale per aggiudicarsi una quota più grande dei profitti provenienti dalla crescita. 
Poi c’è la frattura, provocata dalle grandi migrazioni, fra chi è rimasto in campagna e chi se n’è andato. Molti di coloro che lavorano in città  non lavorando più la terra vorrebbero essere liberi di disporne senza dover rispondere alla comunità . Da qui la pressione sui governi locali perché concedano una sorta di «privatizzazione» dell’uso. Il che avviene, spiega He Xuefeng, ma a spese della coesione dei villaggi e della loro capacità  collettiva di migliorare la produzione con infrastrutture e strumenti (strade, irrigazione, macchine etc.) dai costi insostenibili per i singoli. Inoltre, poiché il valore della terra cresce con lo sviluppo dell’industria e del terziario, si comprende l’aumento delle pressioni a disfarsi dell’uso agricolo della terra per ricavare più soldi dalla sua cessione. Un nodo cruciale perché, secondo He, ne va della stabilità  del paese. I migranti che disponessero della proprietà  la venderebbero. Improvvidamente, secondo l’esperto, perché il ricavato non garantirebbe una vita decente nelle costose città  e il ritorno sarebbe precluso. Ancora oggi, fa notare, molti non rinunciano all’hukou contadino che, se priva dei diritti assicurati ai cittadini, dà  loro altri vantaggi, come avere più di un figlio o accedere alle università  con un voto più basso all’esame di ammissione
Però, facciamo notare, i piani di urbanizzazione prevedono lo spostamento in un decennio di centinaia di milioni di persone nelle città , inoltre le giovani generazioni di migranti non hanno più voglia di tornare indietro. E non s’è mai visto un paese moderno con il 50% della popolazione nell’agricoltura. Per il professore procedere in tempi così rapidi sarebbe socialmente destabilizzante. I governi delle città  non riuscirebbero a garantire gli standard minimi di welfare e dilagherebbero gli slums.
Con le campagne cinesi lacerate dai cambiamenti il business della grande agro industria si fa largo e fagocitando i piccoli appezzamenti ben si concilia con la migrazione di massa prossima ventura disegnata dai piani. Una vera iattura, per He Xuefeng, che auspica, e lavora, affinché si riorganizzi la struttura autonoma del villaggio, ultimo anello della catena amministrativa. E’ da qui che si deve ripartire, argomenta, per istituire meccanismi di governo democratici e restituire forza ai contadini. 
Intanto però la questione della terra esplode, con rivolte contro gli abusi di potere e la corruzione. La risposta è sorprendente: non si possono dividere i buoni dai cattivi. Ognuno cerca di accaparrarsi i profitti più alti dai processi in corso. Le proteste riportate dai media avvengono nei luoghi dove la lotta è più accesa e i dimostranti sanno che quanto più forte è l’attenzione suscitata tanto più alta sarà  la loro possibilità  di vittoria.

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