«Il mondo arabo sarà democratico Ma ci vuole tempo»
NEW YORK — «Per voi è la ‘primavera araba’. Io preferisco parlare di risveglio: il 2011 coi suoi cambiamenti di governo è stato un passaggio davvero storico per il mondo arabo. L’attenzione è stata spesso concentrata sull’Egitto, dove ora si vota. Ma ci sono anche le elezioni in Tunisia, quelle in Marocco, le consultazioni annunciate dallo Yemen per il prossimo febbraio».
Nassir Abdulaziz Al-Nasser, il presidente dell’Assemblea generale dell’Onu che oggi arriva in Italia per incontri ufficiali con le autorità italiane (a cominciare dal presidente Giorgio Napolitano) e per presiedere un vertice della Fao, pesa le parole. Una cautela imposta dal suo ruolo internazionale, ma è evidente tutto l’orgoglio di questo esponente del Qatar per i cambiamenti che stanno interessando il suo mondo.
Le rivolte non hanno suscitato attese eccessive? Abbiamo visto molte proteste represse nel sangue mentre analisti di grande spessore come Bernard Lewis sostengono che cercare di imporre istituzioni democratiche di tipo occidentale a Paesi che hanno storie e tradizioni totalmente diverse è sbagliato.
«Certo, la democrazia degli arabi va basata sulla cultura e le tradizioni di questo mondo: non possiamo importarla dall’Europa o dagli Stati Uniti. Ma attenzione, parliamo di valori che non ci sono affatto estranei: il mondo arabo in passato ha avuto anche governi democratici e per periodi abbastanza lunghi. Poi, purtroppo, rivoluzioni e dittature hanno prodotto una sorta di ‘sequestro della democrazia’. Ora, finalmente, si riaprono le porte. Certo, non sarà facile. Ci saranno ostacoli piccoli e grandi. È nella natura della democrazia: quando cambi regime, quando se ne va un presidente dopo 30 o 40 anni, i contraccolpi sono inevitabili. Ci vuole tempo. Ma la svolta è comunque salutare, di grande crescita per la regione».
A parte i nuovi sanguinosi scontri in Egitto, c’è il macigno della Siria: il regime di Assad continua la sua repressione feroce, sordo ai richiami della comunità internazionale. Col Consiglio di Sicurezza bloccato dalle minacce di veto di Russia e Cina, l’Onu ha fatto poco. Vede spazi per un ruolo più attivo?
«La Commissione dell’Assemblea generale che si occupa dei diritti umani ha adottato di recente una risoluzione di forte condanna per violazioni continue, gravi e sistematiche dei diritti essenziali dei cittadini siriani, perpetrate dalle autorità di Damasco. Dopo quel pronunciamento si è mossa la Lega Araba che ha chiesto con forza alla Siria di cambiare rotta. Sfortunatamente quel regime non ha compiuto i passi necessari. Ciò ha spinto la Lega Araba a varare un pacchetto di sanzioni. È una novità straordinaria: per la prima volta questo organismo affronta i problemi interni di uno Stato membro. Un serio tentativo di evitare che la Siria — un Paese molto importante nel mondo arabo — precipiti definitivamente nella violenza e nella guerra civile. Se Damasco non risponderà nemmeno adesso, sarà la stessa Lega Araba a chiedere all’Onu di intervenire».
Quali speranze per la Libia?
«Appena assunta la presidenza dell’Assemblea, a settembre, mi sono battuto perché a rappresentare il Paese al Palazzo di Vetro fosse il nuovo governo provvisorio e non il vecchio regime. Oggi mi sento di dire che la transizione procede a passo spedito, come ho constatato di persona quando, qualche settimana fa, ho visitato la Libia insieme al Segretario generale, Ban Ki-Moon. L’Onu è impegnato in una missione di supporto in Libia e ha ottenuto impegni dal governo provvisorio sul ritorno al rispetto dei diritti umani, e sul varo di una riforma della Costituzione, con libere elezioni da organizzare entro 8 mesi. Un processo nel quale l’Italia, che ha una relazione storica con la Libia, potrà giocare un ruolo molto importante».
Toccherà a lei affrontare, in Assemblea generale, la questione del riconoscimento della Palestina?
«Come sa, il presidente della Palestina ha consegnato al Segretario generale una richiesta da inoltrare al Consiglio di Sicurezza. Dove c’è una situazione non chiara: pare che non ci sia una maggioranza favorevole all’ammissione. Non so cosa farà Abbas: andare comunque in Consiglio, anche senza avere i voti? È una scelta molto politica. Io mi limito a fare presente che è più facile passare in Assemblea generale dove basta la maggioranza semplice del 50 per cento del consensi più uno. Per i palestinesi sarebbe comunque un grande passo avanti».
Lei ha posto la riforma dell’Onu tra gli obiettivi prioritari della sua presidenza. Ma quella del Consiglio di Sicurezza, la più essenziale, è bloccata da anni dai veti incrociati. Idee per uscirne?
«È uno degli argomenti delle mie conversazioni a Roma, anche perché l’Italia è sempre stata un protagonista attivissimo di questa complessa partita. Cercherò di sbloccare la situazione organizzando all’inizio del prossimo anno un ritiro in una località vicino New York. Coi principali protagonisti che potranno discutere, esplorare possibili compromessi, senza la rigidità delle sedi ufficiali».
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