L’identità  posticcia di una nazione senza aura

by Editore | 20 Dicembre 2011 7:34

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Aveva annunciato la «rottura» degli schemi politici tradizionali, ma le sue azioni hanno contribuito a costruire una «frattura» all’interno della società . Aveva proposto la sua rivoluzione conservatrice come cura per i mali della Francia, ma le scelte che ha condotto hanno alimentato un clima da guerra civile. Qualunque sia il punto di osservazione da cui si guarda al suo operato, una cosa è certa: l’ultimo decennio di storia francese sarà  ricordato come les années Sarkozy. Da sindaco della periferia chic di Neuilly a ministro dell’Interno, da seguace di Jacques Chirac a suo successore alla presidenza della Repubblica, da adepto del gollismo e della vecchia destra repubblicana a inventore di un nuovo stile politico, fondato sulla comunicazione mediatica, l’evocazione di temi identitari, la stigmatizzazione di alcuni gruppi sociali e religiosi e un dinamismo aggressivo, Nicolas Sarkozy è il prodotto della Francia degli anni Duemila, ma anche il suo rappresentante più autorevole.
Ritorno al passato
Di fronte allo scenario inedito della globalizzazione, alle trasformazioni conosciute dall’economia, alla disoccupazione strutturale prima e alla vera e propria crisi di sistema poi, Sarkozy ha proposto una sorta di «ritorno al futuro». «La nazione sarà  il soggetto numero uno della politica nei decenni che verranno. Nel migliore e nel peggiore dei casi. Il ritorno della nazione esprime un bisogno di identità  e di politica. Il “locale” è importante, ma è troppo piccolo. L’Europa rappresenta il futuro, ma è troppo grande e ancora troppo incerta, troppo debole», annunciava ancora in quel 2007, l’anno decisivo della sua biografia politica. Se da responsabile dell’ordine pubblico aveva infatti già  mostrato i muscoli all’inizio del decennio, misurandosi nel 2005 con la più vasta rivolta urbana della storia del paese, per conquistare l’Eliseo doveva essere in grado di sostenere uno sforzo più grande: quello di evocare un nuovo orizzonte. E sarà  proprio il riferimento alla nazione ritrovata – «La Francia è tornata», urlerà  ai suoi sostenitori in Place de la Concorde la notte della sua elezione a primo cittadino di Francia – a rappresentare il cuore di quella sua proposta. (….)
Dietro le parole d’ordine della «rottura» sarkoziana – ordine, merito, responsabilità , dignità , giustizia, lavoro – c’è però una realtà  meno evidente, che non tutti sarebbero pronti a sottoscrivere come caratterizzante l’«autobiografia della nazione». Di fronte al passaggio stretto della crisi, ciascuno può decidere come affrontarlo. Sarkozy ha scelto da tempo di parlare soltanto a una parte del paese, o meglio ha costruito un sistema simbolico che tende ad affermare proprio l’esistenza di un noi e un loro: volendo alludere per questa via al fatto che accanto a una maggioranza di francesi «per bene», che si riconoscono in base alla comune appartenenza a determinati valori, esisterebbero minoranze che si contraddistinguono invece per pratiche violente. Perché a fare da sfondo alla politica, in materia sociale come di tutela dell’ordine pubblico, non ci sono più in realtà  i «valori della République», ma una non meglio precisata «identità  nazionale» che, al di là  dei riferimenti al Cristianesimo e alla Rivoluzione, sembra identificarsi soprattutto in base a ciò che preferisce tener fuori dal proprio recinto di compatibilità : i musulmani, i banlieusard, gli immigrati, i giovani precari, i poveri. E su tutto, emerge poi l’ombra di ciò che uno dei più noti antropologi contemporanei, Jean Loup Amselle, ha definito come «l’etnicizzazione della Francia».
Il primo bilancio di questa stagione è infatti sotto gli occhi di tutti. Sarkozy si è fatto effettivamente interprete di un radicale cambiamento del paese: nella Francia degli ultimi anni il dibattito pubblico si è caratterizzato per una costante attenzione ai temi e ai simboli dell’«identità » che hanno finito per prendere quasi del tutto il posto della riflessione sulle tematiche sociali.
In questo contesto, ci sono due modi per leggere la traiettoria seguita fin qui da Nicolas Sarkozy. Si può pensare che abbia cercato in qualche modo di restare a galla, in un paese smarrito e attraversato da profonde inquietudini, soffiando argomenti e toni ai razzisti del Front National, che negli ultimi vent’anni sono diventati il problema numero uno della destra cui hanno sottratto voti decisivi per vincere il confronto con la gauche. Oppure si possono ripercorrere le tappe della sua ascesa politica, cercando di incrociare gli esiti delle scelte che ha operato con quanto accadeva nel frattempo nella società . Emergeranno così i contorni di un progetto politico che ha assunto come propri elementi qualificanti quei segnali di indebolimento del vincolo sociale repubblicano che aveva annunciato di voler sconfiggere. Come suggerisce ancora una volta Jean Loup Amselle ne L’ethnicisation de la France, l’allarme identitario che accompagna il percorso di Sarkozy tende a indirizzare verso questo tema il suo dialogo con gli elettori. In altre parole, è proprio mentre denunciava con toni drammatici la crisi del modello di integrazione repubblicana, che Sarkozy si è in realtà  candidato ad offrirne una nuova interpretazione, solo a favore di una parte della popolazione. Allo stesso modo, il mettere l’accento sui rischi di una deriva comunitarista della società  francese, si accompagna al definire la propria «comunità  di riferimento».
Le classe pericolose
In un mix continuo di comunicazione politica e azione di governo, scandito dalla diffusione di statistiche etniche e di verbali di polizia sulle violenze intercomunitarie, la massima carica della République ha in qualche modo creato, imponendone «l’esistenza» almeno nel dibattito pubblico, un paese «a sua immagine e somiglianza». Un paese dei cui mali solo lui potesse farsi interprete. L’esito di un simile percorso è la messa in discussione di ogni vincolo di solidarietà  sociale, attuata anche attraverso una politica che ha saccheggiato la spesa sociale e il welfare presentandoli come «inutile assistenzialismo», e la costruzione di un clima favorevole alla ricereca continua di facili capri espiatori. Per questo in dieci anni di «sarkozismo» i fantasmi dello scontro di civiltà  al quotidiano, del riemergere del mito nefasto dell’identità  fondata sul colore della pelle, dei ceti criminali e dei quartieri «pericolosi», dei «fannulloni» e degli «irrecuperabili» sono apparsi in modo sempre più ricorrente nel dibattito pubblico. Questo mentre la forbice tra ricchi e poveri, tra garantiti e precari, tra cittadini e «invisibili» non faceva che crescere

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