L’Fmi sbarca a Roma Draghi: la crescita frena

by Editore | 19 Dicembre 2011 8:21

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BRUXELLES — È arrivata in extremis l’attesa convocazione d’urgenza di un Eurogruppo straordinario dei 17 ministri finanziari dell’Eurozona. La riunione è fissata per oggi pomeriggio in teleconferenza. Punta a superare alcuni contrasti emersi nell’attuazione dell’accordo politico anticrisi concluso nel vertice dei 27 capi di Stato e di governo dell’Ue il 9 dicembre scorso (con la clamorosa defezione del solo Regno Unito). Già  l’impegno a versare 150 miliardi di euro al Fondo monetario di Washington (Fmi) con prestiti bilaterali dei 17 membri, a cui dovrebbero aggiungersi 50 miliardi forniti dagli altri partner Ue, sta avendo difficoltà  nel passaggio dalle parole ai fatti. Il via libera era previsto entro dieci giorni, che scadono oggi. Ma, dopo lo strappo nel vertice del premier britannico David Cameron, da Londra hanno fatto sapere di non voler sborsare la loro quota. Anche dalla Germania, dove avevano accettato di pagare per respingere le pressioni sull’aumento del fondo salva Stati, sono arrivati segnali poco rassicuranti per l’Italia e gli altri Paesi potenziali beneficiari degli interventi di Washington. Ancora da definire appare l’ulteriore conferimento al Fondo di Washington, sempre per azioni di sostegno dell’euro, da parte di Russia, Cina, Brasile e altri Paesi emergenti con ampie risorse finanziarie. Questa settimana sono già  attesi a Roma i tecnici del Fmi. Dovrebbero iniziare il monitoraggio sui conti pubblici italiani (in vista anche di eventuali aiuti). Un portavoce Fmi l’ha però sminuita come «piccola missione».
Sempre oggi pomeriggio il presidente della Banca centrale europea (Bce), Mario Draghi, ha in programma un intervento nell’Europarlamento di Bruxelles. Ampi settori dell’Assemblea Ue premono per un maggiore coinvolgimento della Bce a sostegno dell’Italia e degli altri Paesi dell’Eurozona in difficoltà , che hanno visto esplodere i costi di indebitamento a causa dell’attacco della speculazione ai loro titoli di Stato. Draghi ha ribadito in un’intervista al Financial Times che gli acquisti di bond sui mercati non sono «né eterni, né infiniti», che i Trattati Ue non gli consentono di finanziare i governi, che non si salva l’euro distruggendo «la credibilità  della Bce». Ha apprezzato l’accordo del summit invitando però a «non barattare la disciplina di bilancio con la crescita e la competitività ». Non si sbilancia sulla recessione ammettendo che «la crescita globale rallenta» e «l’incertezza è salita». Si dice «triste» per lo strappo del Regno Unito. E indica due errori. Non aver aspettato l’avvio del fondo salva Stati per chiedere la ricapitalizzazione delle banche in difficoltà  e il «coinvolgimento dei privati» nelle perdite sui titoli greci, che potrebbe aver favorito il contagio dell’Italia. 
L’Eurogruppo deve discutere il testo del patto per una maggiore disciplina di bilancio, detto «fiscal compact», concordato nell’ultimo summit. Quel giorno il premier Mario Monti aveva rassicurato sull’assenza di automatismi nell’impegno per l’Italia di rientro del debito in 20 anni dal 120 al 60% del Pil (che imporrebbe manovre da una quarantina di miliardi l’anno). Ma sta emergendo la necessità  di difendere la concessione di sconti in base agli «altri fattori rilevanti» (come il basso debito privato), in quanto ottenuta quando il valore dei titoli di Stato non era precipitato e il settore bancario italiano non ne scontava le conseguenze. L’estensione delle decisioni a maggioranza è un altro punto critico soprattutto in relazione al fondo salva Stati stabile, che deve entrare in vigore in anticipo nel 2012 per impiegare fino a 500 miliardi di euro (con eventuali incrementi nei prossimi mesi). Nell’Eurozona non tutti accettano di procedere con 9 favorevoli e 8 contrari. A complicare la situazione complessiva c’è l’aspettativa sui mercati di un declassamento dell’affidabilità  del debito perfino della Germania e della Francia, che potrebbe arrivare dalle agenzie di rating da un giorno all’altro e che fa temere la solita conseguente offensiva della speculazione sui titoli di Stato dell’Eurozona.

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