L’EURO DEVE DIVENTARE FLESSIBILE

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La sicurezza a bordo e le pubbliche relazioni sono affidate a Mario Draghi, uomo di fiducia della Goldman Sachs. La corazzata euro sembra invincibile, e nessuno l’associa al destino dell’altra “invincibile”, il Titanic, affondata tragicamente. Il solo parlarne è considerato poco elegante e la possibilità  della grande collisione contro l’iceberg della speculazione è categoricamente esclusa.
Le rilevazioni degli strumenti di bordo suscitano preoccupazione. I dati economici sui paesi dell’Ue mostrano valori positivi superiori nei 10 paesi che hanno mantenuto la moneta nazionale rispetto ai 17 che hanno aderito all’Unione Monetaria. Nella zona euro si rileva una frattura tra i paesi dell’Europa del nord rispetto a quelli del sud e della Francia sui principali indicatori economici e sociali dovuta agli effetti destabilizzanti che sul sistema dell’euro produce il modello neo-mercantilista di crescita della Germania – blocco dei salari e del mercato interno e crescita export-led. Un dumping economico e sociale perseguito a livello nazionale contro gli altri paesi dell’Ue.
I dati della bilancia dei pagamenti riflettono e confermano queste tendenze tra paesi e il deficit nei paesi del sud mette in atto un “circolo vizioso” che si esprime anzitutto con la crescita della disoccupazione e che ha come conseguenze la caduta delle entrate fiscali e l’aumento del deficit di bilancio pubblico. Il debito pubblico cresce, aumenta quello verso banche estere, la capacità  di ottenere credito si riduce e aumenta il tasso di interesse. L’aumento del tasso d’interesse a livelli superiori a quelli dei possibili tassi di crescita diventa la trappola che spinge le economie verso il crollo. Fenomeni dovuti non alle “leggi dell’economia e del mercato”, ma a strategie di guerra economica tra paesi manovrate dai gruppi di potere della finanza. 
Tuttavia la navigazione continua con la musica e le danze a tutto volume, ma qualcuno inizia a porsi delle domande: la corazzata euro è veramente inaffondabile? Le proposte fatte di modificarne il corso sono sufficienti a evitare la collisione con l’iceberg? E se questo non è più possibile, che fare?
Il problema è che i passeggeri hanno diversità  di preferenze e obiettivi. I governi dell’Europa orientale e del sud ritengono la crescita più importante della stabilità  dei prezzi per poter accrescere l’occupazione e i redditi. Quelli dell’Europa centro-nord preferiscono la stabilità  dei prezzi, affidando a questa il raggiungimento degli altri obiettivi. L’idea che una crescita diversa e una diversa distribuzione dei redditi siano possibili anche per rimuovere le cause strutturali e di potere della crisi non è più nell’agenda dei governi europei. 
Quale via d’uscita dalla crisi è possibile? È evidente, per chi vuol vedere, che la moneta unica è diventato il problema. La Germania e i paesi ad essa collegati hanno oggi un vantaggio competitivo in termini di costi del 30% e questa distanza tende a crescere a scapito dei paesi dell’Europa del sud. Questo dumping economico e sociale è possibile perché i secondi sono incatenati dalla moneta unica e quindi non in grado di minacciare le esportazioni tedesche che invadono i loro mercati. Si verifica così un aumento della disoccupazione e del debito pubblico al quale non si può reagire come fanno invece Gran Bretagna, Svezia e Polonia. Il paradosso è che i paesi che generano questo squilibrio nel sistema economico europeo (la Germania) esportando in altri paesi la disoccupazione e il deficit, minacciano i paesi che ne pagano le conseguenze di espulsione dalla zona euro. 
Ma il “modello tedesco” è esportabile, come sostengono i suoi portavoce? È ovvio per chi voglia ragionare senza dogmi sull’euro e sull’integrazione che il raggiungimento del pareggio di bilancio quando le entrate fiscali si riducono e la disoccupazione aumenta non è possibile. Così come è ovvio che il surplus della Germania è dovuto al deficit di altri paesi poiché le esportazioni dell’uno provocano le importazioni degli altri. Quindi siamo chiusi in un “circolo vizioso” il cui esito non può che essere una catastrofe economica nel 2012. 
Esistono alternative a questa situazione? Tra quelle finora presentate ne emergono due. La prima è quella di un modello solidale di economia. Questa richiede che i paesi con surplus – dovuto alla compressione dei salari e dei consumi interni nei loro paesi – aumentino i propri consumi e salari. Compito dell’Ue è quello di consentire l’emissione di eurobond con la garanzia di tutti i paesi dell’Unione e l’avvio di un “Piano Marshall” per i paesi europei che sarebbe il vero avvio della creazione di un sistema federale. 
Ma esiste anche una seconda soluzione. L’avvio di un modello flessibile per gli stati nazionali, che riconosca l’errore del varo dell’euro. Questo darebbe ai paesi con deficit la possibilità  di riguadagnare in modo organizzato e coordinato la flessibilità  offerta dalla valuta nazionale, mediante un accordo su corsi valutari concordati ma flessibili (dentro una fascia del +/- 15%), forme solidali di risanamento del debito con il coinvolgimento del sistema bancario, l’emissione di eurobond con i quali tutti i paesi rispondono in modo solidale. Infine un permanente “Piano Marshall “come sopra indicato. 
Per ora c’è una sola certezza: il sistema monetario europeo non può procedere nella sua forma attuale e la collisione è oggi inevitabile. Il modello tedesco significa una lunga stagnazione che colpirà  in modo drammatico i paesi dell’Europa del sud e non solo. Il Titanic affondò il 15 aprile 1912 e solo 1/3 dei passeggeri e equipaggio si salvarono. Tradotto nell’ammiraglia dell’euro, questo significa che solo 6 paesi sopravviveranno alla collisione e manterranno l’euro (probabilmente la Germania, Olanda, Benelux, Austria e, forse, la Finlandia e la Francia). Per evitare la collisione è necessaria una soluzione solidale o flessibile del tipo qui sopra indicato. Farsi accecare dalla retorica avrà  esiti disastrosi.
* Università  di Roskilde (Danimarca)


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