L’economia politica tra Bce e S&P

by Editore | 18 Dicembre 2011 10:04

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Il quale ha posto un problema a suo modo «filosofico», che anche noi avevamo – inascoltati – evidenziato più volte. È «contraddittorio da una parte dire che i mercati sono la causa del problema e dall’altra aspettare che siano i mercati a valutare l’efficacia delle soluzioni». In medicina, nessuno chiede al tumore di essere giudice della terapia. O meglio, la terapia risulta efficace se annienta il tumore, ossia la causa della malattia. Che in economia sono «i mercati» e il loro funzionamento malato (in realtà  «obbligato»). Specie se, come in questo caso, «le soluzioni» consistono in drammatici tagli al «modello sociale europeo»; quindi alla tenuta stessa della coesione sociale nel vecchio continente. A suo modo, lo stesso problema è stato sollevato dal capo-economista di Standard&Poor’s, JeanMichel Six. La Ue – ha detto – «oltre al rigore deve puntare sulla crescita», che nell’ultimo vertice di Bruxelles è stata assai poco presa in considerazione. La prospettiva, dal suo punto privilegia di osservazione, è preoccupate: «c’è la possibilità  molto elevata che la zona euro conosca una recessione più grave di quella che avevamo previsto», a causa della pressione dei mercati finanziari che chiedono una riduzione del debito pubblico. Lo stesso Six – uno di quelli che «dà  il rating», dando spesso l’impressione di dare i numeri – ammette con il taglio della spesa pubblica la recessione non può che peggiorare. E quindi «valutiamo al 40% la possibilità  di una recessione davvero pesante», con l’economia che arretra per un intero anno. Almeno. «Se ne fotte», scusare l’oxfordismo, Jurgen Stark, il« falco» dimessosi dalla Bce quando questa – con Trichet – aveva iniziato ad acquistare bond pubblici dei paesi in difficoltà  (come i Btp italiani). Per lui, qualsiasi cosa accada, «l’intervento sui titoli di stato da parte dell’Eurotower non è la soluzione». Perché «la missione principale della Bce è mantenere la stabilità  dei prezzi». La metafora del medico torna utile anche stavolta: secondo questa scuola di pensiero – in realtà  molto «operativa» e ben poco «teorica» – il paziente sta bene se la temperatura non aumenta. Anche se nel frattempo è morto di freddo.

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