Le smart bombs di Wall Street

by Sergio Segio | 13 Dicembre 2011 7:01

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Sono oggi massicciamente impiegate per mistificare la realtà  della crisi, per convincerci che essa è provocata dal debito pubblico e che, per salvarci, dobbiamo fare duri sacrifici tagliando le spese sociali. Il debito pubblico è però conseguenza, non causa della crisi. Essa è dovuta al funzionamento stesso del mercato finanziario, dominato da potenti banche e gruppi multinazionali. Basti pensare che il valore delle azioni quotate a Wall Street, e nelle Borse europee e giapponesi, supera quello di tutti i beni e servizi prodotti annualmente nel mondo. Le operazioni speculative, effettuate con enormi capitali, creano un artificioso aumento dei prezzi delle azioni e di altri titoli, che non corrisponde a una effettiva crescita dell’economia reale: una «bolla speculativa» che prima o poi esplode, provocando una crisi finanziaria. A questo punto intervengono gli stati con operazioni di «salvataggio», riversando denaro pubblico (e quindi accrescendo il debito) nelle casse delle grandi banche e dei gruppi finanziari privati che hanno provocato la crisi. Solo negli Stati uniti, l’ultimo «salvataggio» ammonta a oltre 7mila miliardi di dollari, dieci volte più di quanto ufficialmente dichiarato. Come ciò possa avvenire lo spiega il fatto che i candidati presidenziali sono finanziati, attraverso «donazioni» e in altri modi, dalle grandi banche, tra cui la Goldman Sachs, e che l’amministrazione Obama, appena entrata in carica, ha nominato in posti chiave loro persone di fiducia, facenti parte della Commissione Trilaterale. La stessa in cui Mario Monti, consulente internazionale della Goldman Sachs e ora capo del governo italiano, riveste il ruolo di presidente del gruppo europeo. Non c’è quindi da stupirsi se il governo segreto di Wall Street impiega, in funzione dei suoi interessi, anche «bombe intelligenti» reali. Non a caso le ultime guerre, effettuate dagli Stati uniti e dalla Nato, hanno «intelligentemente» colpito stati situati nelle aree ricche di petrolio (Iraq e Libia) o con una importante posizione regionale (Jugoslavia e Afghanistan). Stati come l’Iraq di Saddam Hussein, che minacciava di sganciarsi dal dollaro vendendo petrolio in euro e altre valute, o come la Libia di Gheddafi, che programmava di creare il dinaro d’oro quale concorrente del dollaro e promoveva organismi finanziari autonomi dell’Unione africana, il cui sviluppo avrebbe ridotto l’influenza della Banca mondiale e del Fondo monetario internazionale. Per analoghe ragioni si prendono ora di mira Siria e Iran. Crisi e guerra sono due facce della stessa medaglia. Anche perché la guerra fa crescere la spesa militare che, appesantendo il debito pubblico, impone ulteriori sacrifici. L’Italia, stima il Sipri, è arrivata a una spesa militare annua di 28 miliardi di euro, all’incirca il costo della manovra. Ma non se ne parla. Le bombe di Wall Street sono davvero intelligenti.

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