Le due Pomigliano di Marchionne

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È stata un giornata particolare per l’amministratore delegato di Fiat-Chrysler, Sergio Marchionne. Di gloria, cercata con gli applausi dei suoi pochi (ancora) dipendenti riassunti per costruire la nuova Panda, in uno stabilimento nuovo di zecca. E di incertezza, da lui negata con stizza e stanchezza (è arrivato nella notte dagli Stati Uniti) durante una conferenza stampa tra le linee di montaggio e con i dipendenti in tuta chiamati a partecipare.  La gloria non è bastata a Marchionne per scacciare la tensione. Ha quasi maltrattato una collega dell’Associated Press, rea di avere chiesto lumi sui prossimi investimenti per il suo piano Fabbrica Italia. E ha risposto nervosamente all’unica vera domanda in tanta festa: quando saranno riassunti il resto degli operai e delle operaie licenziati per fare il nuovo contratto di lavoro, non più nazionale ma «ad Fiat»? Per ora, sono rientrati in 600 (ma senza specificare quanti capi e dirigenti); all’appello ne mancano circa 4.200. Per loro, Marchionne non ha fissato nessuna data: dipenderà  dal mercato. Fa venire i brividi, nonostante questo troppo caldo inverno, pensando alla recessione in Italia e alla crisi europea.
La giornata è davvero particolare se a fianco di Marchionne si presenta anche il presidente John Elkann, il primo a prendere la parola dentro la fabbrica. Giovani operai e operaie circondano i giornalisti e la massima dirigenza della Fiat. Sorridono e applaudono appena si parla di loro, in una fabbrica tirata a lucido per un investimento di 800 milioni di euro, soldi veri. Benvenuti a Pomigliano d’Arco, «avete smentito luoghi comuni sul meridione dove non si lavora», «è questa la migliore fabbrica di Fiat-Chrysler nel mondo» dice Marchionne, e giù applausi scroscianti, alcuni dei quali partono però sempre un po’ prima degli altri, fanno sospettare una claque. Benvenuti al sud, tra questi ragazzi e ragazze mischiati a qualche raro cinquantenne molto più composto e non per una questione di età  (deve aver visto ben altro in fabbrica), che battezzano la nuova Fiat Panda e soprattutto un po’ di futuro. Sono loro quel dieci per cento di chi un tempo lavorava e non è stato ancora riassunto: che siano felici davvero (al di là  del prevedibile indottrinamento) è giusto. Il problema è per gli altri, per chi aspetta la chiamata, chissà  se e quando arriverà ; e per chi è stato messo fuori per sempre, perché ha detto no al nuovo contratto in modo pubblico, come la Fiom, e dunque è stato scartato come un tempo si faceva alla leva. 
Marchionne vuole gente che dica solo sì («la Fiom non è stata esclusa per scelta nostra»), risponde seccato a chi gli parla della proposta del numero uno della Cgil di rivedere l’articolo 19 sulla rappresentanza («non prendo in considerazione quel che dice la signora Camusso»), perché oggi a Pomigliano d’Arco ci sono solo «fatti». E la nuova fabbrica, con le linee della Panda trasferite dallo stabilimento polacco di Tychy per dare sostanza a un piano finora evanescente, sono «il fatto», l’unico di cui il manager intenda parlare. Pomigliano diventa una sorta di clava che utilizza contro chi non credeva ai suoi progetti di investimento in Italia (20 miliardi di euro entro il 2014, meglio ricordarlo), contro chi «racconta panzanate» sui destini americani della Fiat, contro chi non ritiene che «la Fiat faccia la sua parte». E’ il giorno dell’orgoglio per Marchionne e per la sua costruzione di una Fiat «aperta al mondo», unica condizione per diventare uno dei «4 o 5 gruppi mondiali dell’auto». 
Ma a parte il sorriso vero di qualche giovane operaio, non c’è nulla di luminoso in questo presente o futuro prossimo se Marchionne risponde malissimo a chi chiede notizia dei prossimi investimenti dopo Pomigliano. «Non stia a preoccuparsi di problemi che non esistono», quasi strilla il manager se non fosse giù di voce, e via con una filippica sul fatto che l’Italia è a suo dire «l’unico paese al mondo, nemmeno in Cina», dove si vogliono conoscere (Fiom e Consob compresi) «dettagli» del suo piano prodotto-investimenti. Favoloso, ma pur sempre appeso alla dittatura dei mercati. E se questi non vanno, come sta accadendo per esempio in Europa, che succede?
«Le cose che costruiamo ci rendono ciò che siamo», dice il claim della nuova Panda, con dentro una grande verità , perché vale nel bene e anche nel male. Nei suoi trentuno anni di vita, il modello è stato un successo a livello europeo. La terza generazione, nuova ma non nuovissima – il pianale è quello utilizzato per la 500 nel 2007, rivisto e corretto, poco più lunga e più larga dell’attuale, stessi motori con in più adesso un bicilindrico dai bassi consumi ed emissioni – resta un’auto dall’aspetto piacevole e dal prezzo accessibile anche in tempi cupi come gli attuali. Il problema di Marchionne e soprattutto dei troppi operai e operaie non ancora riassunti a Pomigliano, è che sul mercato la concorrenza è diventata più aspra, a cominciare dalla vecchia Panda. Che continuerà  a essere prodotta a Tychy e venduta insieme alla nuova (a prezzo più basso di oltre il 16%) in 230.000 unità  nel 2012. Quante di Pomigliano non viene detto, ma è il punto. Qui la produzione a regime annunciata è di 1.050 unità , oggi ne vengono prodotte 100 al giorno – il 10 per cento, lo stesso rapporto tra assunti e non. E domani? Pesano le parole di Marchionne che, nonostante il clima di apparente festa, ha voluto ricordare a tutti che «decidere di portare la Panda a Pomigliano non è stata una scelta basata su principi economici e razionali. Non è la soluzione ottimale». Altro che applausi.


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