Le bistecche di coccodrillo

by Sergio Segio | 13 Dicembre 2011 7:00

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La spessa e durevole pelle, che alimenta una crescente industria di scarpe, borse, cinture, portafogli e altri accessori artigianali, ha un valore che supera i 300 dollari per unità  – cioè, per ciascuna pelle di malcapitato coccodrillo. L’industria della profumeria utilizza i sessantotto denti di questo coccodrillo per fissare aromi, mentre l’olio corporeo viene messo in bottigliette e venduto, a 20 dollari al litro, per le sue presunte proprietà  medicinali contro l’asma, la tosse, il diabete. Aggiungete che è relativamente facile da cacciare, che vive in prossimità  di aree di povertà  economica, che la carne è commestibile. Il risultato è chiaro: tutto porta alla scomparsa totale di questo piccolo coccodrillo.
La fattoria CocoMex, situata in Culiacan (nello stato di Sinaloa), da una decina d’anni alleva questi animali per la carne, che vende nei ristoranti esotici “inn” delle grandi città  messicane: Città  del Mesico, Guadalajara, Monterrey, Tijuana, senza dimenticare la turistica Cancun. A 25 dollari al chilo e con tagli di carne fra bistecca, filetti, hamburger e nuggets, il giro d’affari di questi “conservazionisti ” sta crescendo. Attualmente allevano uno stock annuale di 30.000 coccodrilli di diverse dimensioni, e stanno aprendo altre fattorie negli stati messicani di Veracruz, Campeche e Tamaulipas. Hanno appena ottenuto un permesso per esportare la carne in Giappone. Il fondatore José Carlos Rodarte spiega che «in un viaggio in Indonesia vidi molte famiglie che allevavano coccodrilli nel patio delle loro case, come fossero galline. Allora mi sono chiesto, visto gli alti prezzi della carne del coccodrillo, perché non allevarli in batteria?». Addirittura in varie università  messicane si stanno preparando tesi sulle proprietà  organolettiche della carne di questo coccodrillo, presentandola come «alternativa» alla carne di bovino e di pollo, colpevoli di essere zeppe di ormoni e incoerenti ecologicamente.
Così da una specie in via di estinzione ha dato luogo a una «industria conservazionista sostenibile» che si sta sviluppando in una dozzina di paesi, fra cui Israele, Filippine, India, Cina, Sudafrica, Kenya e ovviamente Australia, che offre questa «carne del futuro bassa in colesterolo» fresca, secca e in lattina. In Thailandia, per esempio, esiste una dozzina di fattorie legali per allevare coccodrilli – nel solo 2005 hanno esportato 94 tonnellate di carne in Cina, per un valore approssimativo di 360 milioni di dollari. Il mercato messicano consuma 20.000 pelli di coccodrillo annuali, soprattutto per fare stivali, cinture e scarpe.
Di fronte al successo di questa «impresa verde» alcune associazioni ambientaliste messicane si stanno chiedendo se è legittimo, o perlomeno corretto, allevare specie protette per proteggere i cugini selvatici. Nonostante che queste «fattorie conservazioniste» debbano ottenere un permesso della Cites (la Convenzione internazionale sul commercio di specie protette) per poter vendere la carne, i coccodrilli vengono comunque alimentati con polli d’allevamento industriale, zeppi di antibiotici e ormoni. Insomma, diventano a tutti gli effetti una specie «di batteria». E molti si chiedono se non esistano altre opzioni alimentari, magari non tanto esotiche, per nutrirsi e conservare gli habitat naturali di questi rettili.

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