«Caso Fornero», Fnsi pronta allo sciopero

by Editore | 23 Dicembre 2011 8:38

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ROMA – La Fnsi batte un colpo, anzi due: contro la crisi dell’informazione e, soprattutto, contro l’arretramento complessivo del diritto al lavoro in tutte le sue forme. Mercoledì una lunga riunione del consiglio nazionale del sindacato dei giornalisti ha deciso di aprire ufficialmente la mobilitazione della stampa contro «i disegni che mirano a fare arretrare la civiltà  del diritto del lavoro». Nessuna misura è esclusa, fino all’extrema ratio dello sciopero dei giornalisti. E stavolta – semmai ci si arriverà  – non sarà  per una vertenza di categoria o una qualche «legge bavaglio» ma sarà  uno sciopero tutto «politico» (nel senso più autentico del termine). 
Le richieste del sindacato sono semplici e immediatamente comprensibili a chiunque: «dialogo sociale» per risolvere i tanti problemi aperti, lotta spietata a un «precariato» fuori da ogni controllo e decenza (non sono pochi i giornali che pagano 3 euro lordi ad articolo), «sviluppo» e crescita anche dell’industria dell’informazione, rafforzamento della «democrazia» e del «pluralismo». 
Il recentissimo attacco della ministra Elsa Fornero all’Inpgi e ai giornalisti «privilegiati» è sale che si aggiunge ad antiche ferite. La risposta della Fnsi al governo è perentoria: «L’Inpgi ha già  messo in atto misure che consentono una sostenibilità  dei propri bilanci e della propria missione anche nel lungo periodo. Sorprendono, quindi – sottolinea il sindacato – le gravi affermazioni del ministro del Lavoro su una presunta insostenibilità  dei conti dell’Istituto. Affermazione non suffragata da alcun riscontro e che contraddice quanto costantemente verificato e certificato dallo stesso ministero del Lavoro i cui rappresentanti siedono nel consiglio di amministrazione dell’Inpgi». «Il ministro Fornero – conclude la Fnsi – ha infine alluso a privilegi di cui godrebbero i giornalisti italiani. (…) Il diritto all’informazione trae forza dall’intransigente difesa di un’autonomia della professione che solo una vocazione autoritaria può intendere come privilegio». E quindi, confronto col governo ma patti chiari anche nelle redazioni (il caso Mentana insegna): il sindacato chiede a tutti i giornalisti di «alzare la soglia di attenzione sulla difesa dei diritti e del valore del lavoro. Lavoro che in questi anni ha pagato un pesante tributo ad un modello che ha privilegiato la rendita finanziaria speculativa». «La ricerca di equità  – è la chiusa sulle riforme da fare – non può che partire da una maggiore considerazione delle ragioni del lavoro in un paese che non ha certo bisogno di avere maggiore facilità  di licenziare ma, al contrario, deve disboscare la giungla del precariato e del ricorso improprio a contratti atipici mal retribuiti e socialmente non protetti. I giornalisti italiani non sono una casta di privilegiati dal punto di vista economico. A fronte di alcuni, pochi, professionisti ben pagati e di colleghi con uno stipendio decoroso, ci sono migliaia di disoccupati o con i redditi tagliati dai contratti di solidarietà  o in cassa integrazione; mentre tra i 25mila colleghi collaboratori e precari il 60% guadagna meno di 5 mila euro l’anno».

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