Lavorare insieme non stanca

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C’ è posta per me. «Ciao ragazzi/e, stiamo organizzando un primo incontro per Fronteggiare la Crisi INSIEME. Ci troveremo sulle colline reggiane il 3 e 4 dicembre. Costi contenuti, nessuno scopo di lucro e voglia di stare INSIEME».
Pling! «Cari hubbers, dobbiamo prendere altre 3 scrivanie per il nostro ufficio, il budget purtroppo è tipo-Ikea, ma sarebbe carino trovare altre soluzioni di riuso, recupero, ecc. se avete idee, dovete liberarvi di 3 postazioni, o altro, fateci sapere! grazie mille!!»
Pling! «Buongiorno!, sono una hubber di Rovereto! Vorrei chiederti se puoi mandare ai membri di Milano un evento che sto organizzando per Capodanno. Grazie mille davvero e buon lavoro!»
Pling! «Cari Hubbers, provo a raccontarvi chi siamo e cosa facciamo qui nel nostro “angolo dei nerd”. Le nostre case stanno per essere invase da forni, lavatrici, lavastoviglie, televisori, bilance e una serie di altri interessanti oggetti che potranno essere virtualizzati e controllati da remoto…. Il progetto T. è stato concepito circa 2 anni fa come servizio unificato per gestire tutti questi oggetti ed essere pronto, quando il futuro sarà  presente, con la propria soluzione… Siamo qui per qualsiasi domanda».
Pling! «Buongiorno! Vi scrivo per ricordarvi che domani alle 19, all’Eco Bookshop di Valcucine, Lisa Casali presenterà  il suo libro Cucinare in lavastoviglie. Gusto, sostenibilità  e risparmio con un metodo rivoluzionario – e racconterà  segreti e virtù di questa tecnica apparentemente bizzarra ma molto salutare…».
Pling! «Ciao a tutti hubbers, credo che questo articolo dove descrive come saranno suddivisi i finanziamenti sull’asse innovazione sociale possa interessarvi! A presto».
Benvenuti. Vi presento i miei nuovi amici. Si chiamano hubbers, vogliono cambiare il mondo e non aspettano che qualcuno lo faccia per loro. Intanto ci provano. La loro energia si chiama innovazione, la loro arma è una startup, il loro obiettivo non sono i soldi, ma fare delle cose socialmente utili (e quindi cercano in genere i soldi necessari a realizzare un progetto non ad arricchirsi). Il loro modo per farle è stare assieme: una scrivania accanto all’altra, contaminazione di intelligenze e di idee, condivisione della rete wifi e della cucina. La loro casa si chiama The Hub, l’hanno creata Nicolò Borghi, Alberto Masetti-Zannini e Federica Scaringella. Sta a Milano in via Paolo Sarpi, in quello che per molti resta “il quartiere cinese”. Ma in realtà  gli hubbers sono a casa in tutto il mondo: in Italia hanno già  aperto una sede in Trentino, una in Sicilia e stanno per sbarcare a Roma, Bari e Trieste. Li ho incontrati ormai un paio di mesi fa: un giorno mi sono accorto che il mio ufficio non era più in un luogo fisico, ma era nel mio zaino. Un laptop, un tablet, alcuni caricatori, una chiavetta Usb. Tutto qui. Con un amico cercavamo un posto dove lavorare assieme a un progetto e così siamo «entrati nel network». Ci hanno dato una scrivania di cartone, una password per il wifi. E siamo diventati hubbers.
Questa non è una moda, è un movimento mondiale. Si chiama coworking. È nato sei anni fa a San Francisco, quando Brad Neuberg, un programmatore molto sveglio e molto hippy, prese un locale all’801 di Minnesota Street, lo riempì di mobili Ikea e in pratica disse: se vi serve una scrivania per realizzare il vostro progetto, prendetela. In affitto. Quel posto si chiamava Hat Factory ed è diventato un mito perché quel gesto apparentemente banale di Neuberg ha innescato una rivoluzione sociale. Tornate un attimo con la mente a quegli anni, in Silicon Valley: la prima bolla di Internet è ormai lontana ma la ripresa deve ancora arrivare. In giro è pieno di smanettoni geniali che lavorano dove capita: anzi, dove possono collegarsi a Internet con il loro laptop. Nei tanti libri a loro dedicati li chiamano i nomadic workers o “beduini”, perché vagano inseguendo reti wifi come fossero oasi di acqua, dove collegarsi e lavorare. Il loro luogo preferito è la catena dei caffè Starbucks che offrono connettività  gratis a chi consuma (mai i caffè sono stati tanto vantaggiosi per un cliente). In questo contesto la proposta del coworking spopola. Non si tratta solo di affittare una scrivania, questo lo fanno già  i business center: si tratta di stare vicini a persone che condividono passione per l’innovazione. Di entrare in un network di creatività  e voglia di fare.
Il coworking è contagioso. Due anni fa il copywriter milanese Massimo Carraro che aveva una sede troppo grande a Lambrate, ha provato a farne un Cowo: il successo è stato tale che con la formula del franchising ha aperto 54 spazi in 39 città . Il suo modello è molto più semplice di The Hub: hai uno spazio? Condividilo, che tu sia architetto, avvocato o designer non importa, allarga la tua rete. «Il coworking non è un progetto di business, è un progetto di network. Quello che conta sono le persone», spiega Carraro che qualche giorno fa ha ricevuto nel Cowo di Lambrate l’assessore alle politiche del lavoro del comune di Milano, Cristina Tajani, che sta studiando il fenomeno per rispondere a una domanda fondamentale: questi luoghi possono essere uno strumento per combattere la disoccupazione incoraggiando l’imprenditoria? La risposta è sì. Lo dicono decine di ricerche che testimoniano la produttività  di chi sceglie questa strada (il rischio semmai è l’eccesso di lavoro, il coworker non ha orario, si ferma quando è a corto di creatività ).
Ma più di tutti lo dice quanto accaduto qualche giorno fa a Brescia. Il primo dicembre si inaugurava il nuovo spazio di coworking a Brescia: si chiama Talent Garden e lo ha creato un giovane startupper di genio, Davide Dattoli. Lui ha solo 21 anni, alle spalle un successo notevole con la sua società  di social media marketing, poi la voglia di fare altro, perché i soldi non sono tutto. L’idea di Talent Garden «è attrarre solo persone di qualità  che si occupano di Web e innovazione». A loro disposizione, 750 metri su due piani, 56 scrivanie; una bolla sospesa per pensare, una playstation, sale riunioni in vetro per vedere come lavorano gli altri. Per essere ammessi qui non basta pagare 250 euro al mese, c’è un esame tosto: i 150 ragazzi che hanno fatto richiesta sono stati messi in gara con una presentazione di cinque minuti l’una. Spiega Dattoli: «Dobbiamo contaminarci. I talenti ci sono in ogni città . Se li portiamo in un unico posto, creeremo qualcosa di bellissimo».


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