L’ascesa al Colle del migliorista Giorgio Napolitano

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Sembra oggi ma non pensate alle isterie del Pd. Allora c’era il centralismo democratico, D’Alema stava alla Fgci e Veltroni e Bersani in consiglio comunale: uno a Roma e l’altro a Bettola. Giorgio Napolitano era il delegato del Pci nel governo della solidarietà  nazionale, l’uomo che per conto di Enrico Berlinguer sedeva ai tavoli settimanali in cui si fissava l’agenda dell’esecutivo. Era anche il leader della corrente riformista che spingeva per un avvicinamento al Psi di Craxi e il capo della commissione che doveva elaborare il programma dell’austerità  berlingueriana. Si trovava, come diceva lui stesso, «in mezzo al guado». Oggi, quando si misurano le difficoltà  del Partito democratico nel passaggio da Berlusconi a Monti, quando si evidenzia il ruolo del capo dello stato nel condizionare il suo (ex) partito tenendolo legato al carro scomodo del governo tecnico, non bisogna dimenticare la storia di trenta e passa anni fa, quando Napolitano fu protagonista di una fase simile a quella attuale.
Ce lo ricorda utilmente Il Custode. Giorgio Napolitano dal Pci al Colle (Castelvecchi, pp. 170, euro 12,50) di Giampiero Cazzato, tra i libri dedicati al presidente della Repubblica quello che più si sofferma sui trascorsi a Botteghe oscure per illuminare il presente al Quirinale. L’allievo di Amendola cresciuto al caldo della corrente migliorista del golfo (di Napoli), l’intellettuale capace di coniugare idealismo crociano e stalinismo cacciapuotiano, ha una storia comunista tanto profonda da essere stato due volte candidato alla segreteria del partito. Ecco perché quanto la notizia della sua elezione al Colle fu diffusa, quel 10 maggio del 2006, sul momento fu più forte di qualsiasi vecchia ruggine o divisione politica. Tra i compagni dell’ex Pci ci fu innanzitutto commozione. Un comunista al Quirinale: da Ingrao a Cossutta avversari giurati del vecchio riformista si ritrovarono sinceramente emozionati. Durò poco e – così com’era successo quando Napolitano si era trovato di fronte agli armadi del Viminale – arrivò veloce la fase delle aspettative deluse.
Praticamente nel corso dei primi due anni di presidenza non c’è stata una sola espressione della sinistra nazionale che non si sia rivolta in maniera critica a Napolitano, firmando appelli o attaccandolo per qualche firma di troppo alle leggi di Berlusconi. Dalla Fiom ai ragazzi di Barbiana, da Beppe Grillo a Michele Serra, dall’Unità  a questo giornale, il presidente ha sperimentato tutte le asprezze di cui è capace la sua parte politica. Che paradossalmente molto spesso gli ha imputato eccessiva prudenza. Si è visto poi, nel modo in cui ha gestito il tramonto di Berlusconi, che a Napolitano non difetta l’attivismo.
Il titolo del libro non inganni, la «custodia» del presidente è stata piuttosto intraprendente. E, dal suo punto di vista, efficace. Segno che un «cavallo» della prima Repubblica, ancor più se un «cavallo di razza», nella seconda Repubblica parte sempre in vantaggio.


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