by Sergio Segio | 4 Dicembre 2011 8:20
DURBAN (SUDAFRICA). «Amandhla!» gridano continuamente dal microfono le attiviste che animano la manifestazione partita alle 10 di mattina dal parco situato ad uno degli angoli di Pixley Kaseme street, a Durban. Ad ogni invocazione la folla, oltre 10.000 persone in marcia lungo l’interminabile stradone che arriva fino all’ingresso del centro conferenze che ospita il Summit dell’Onu, risponde «Awethu!». È la chiamata alla mobilitazione in linga Zulu. Significa «potere» e si risponde «è nostro». Era per ieri, sabato 3 dicembre, la convocazione a mobilitarsi lanciata dai movimenti sociali sudafricani, riuniti del C17, il comitato della società civile incaricato di organizzare le giornate di Durban. Appello poi accolto dalle reti internazionali per la giustizia climatica, e diventato la 7° Giornata Globale di Azione per il Clima che ha visto svolgersi decine di manifestazione in diversi paesi tra cui Stati Uniti, India, Svizzera. Tutte con lo sguardo rivolto alla cittadina sudafricana, perché è qui che in questi giorni si concentra l’attenzione dei movimenti in marcia per la giustizia climatica.
Il coloratissimo corteo passa nel quartiere commerciale dove i grandi magazzini si avvicendano e si affastellano. I tanti slum dislocati nella città sono lontani dai clamori della marcia e dalle telecamere dei media. Durban è il maggiore porto commerciale dell’Africa meridionale, il principale porto mondiale per lo zucchero e un centro importante per l’industria tessile e le conserve. Tuttavia la disuguaglianza sociale è evidente: resiste una netta separazione tra la maggioranza nera e la minoranza bianca, gli indici di criminalità nella zona urbana sono alti e un terzo dei poveri vive ancora negli slum. I principali fronti di lotta della società sudafricana sono ben rappresentati lungo il corteo: è chiaro ai movimenti sudafricani che giustizia climatica significa prima di tutto diritto alla salute, ad un ambiente salubre, a cibo sano, ai servizi di base e ad un lavoro dignitoso e ambientalmente sicuro.
Abahlali baseMjondolo (AbM) è il più grande movimento sociale sudafricano. Il nome significa «coloro che vivono nelle baracche», quasi 200.000 persone solo a Durban. Il movimento è emerso all’attenzione mondiale quando, prima dei mondiali di calcio, il governo ha deciso di sgomberate e demolire le baraccopoli per nascondere agli occhi del mondo la misera realtà in cui vive ancora buona parte della popolazione: «Viviamo tra i topi – racconta Kelly, una giovane donna di colore con due figli – mancano i servizi igienici e la luce, la privacy non esiste. D’inverno moriamo di freddo e d’estate di caldo. Lottiamo per rivendicare il diritto ad una abitazione dignitosa ed a servizi di base. Ma con i morti causati dalle violente alluvioni nelle ultime settimane proprio negli slum della città , la connessione della nostra battaglia con la questione climatica è più che mai evidente ed attuale». Altro tema ricorrente nella manifestazione riguarda il lavoro. Nonostante il Sudafrica abbia il livello di industrializzazione più alto del continente, il tasso di disoccupazione si aggira ancora attorno al 40%. La campagna One Milion Climate Jobs, di cui fanno parte diversi sindacati nazionali, chiede al governo di creare un milione di posti di lavoro promuovendo misure di lotta al cambiamento climatico. Ad esempio, attraverso investimenti nell’agricoltura organica, nelle energie rinnovabili, nella tutela delle foreste o nella cura delle aree verdi. Di sovranità alimentare e di diritto al cibo e alla terra parlano diversi spezzoni del corteo. Dall’Assemblea Rurale delle donne al Landless Movement gli slogan ballati e ritmati ripetono senza sosta che «senza contadini la terra si ammala e gli alimenti sono avvelenati». Le principali delegazioni internazionali arrivano dai paesi dell’Africa sud orientale e dalla Nigeria. Ci sono anche delegazioni latinoamericane, giapponesi, nordamericane, europee. Per tutti qui, giocando con l’acronimo della conferenza ufficiale, Cop vuol dire Conferenza dei Procrastinatori, o dei pollutors, inquinatori.
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