La Tassa-Giungla tra stangate e zone franche

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ROMA — A scanso di equivoci, Teodoro Buontempo ha voluto mettere le mani avanti: «Se venisse reintrodotta l’Ici, anche le case popolari tornerebbero a essere tassate». E questo, ha aggiunto allarmato «er pecora», come viene soprannominato l’ex deputato missino presidente della Destra e assessore alla casa della Regione Lazio, «rappresenterebbe un gravissimo danno per le Ater».
Il fatto è che l’abolizione dell’Ici sulla prima casa era stata una mano santa per gli ex Istituti autonomi delle case popolari, per i quali l’Imposta comunale sugli immobili era sempre stata una spina nel fianco. E che spina. Prendiamo il caso dell’Ater di Roma, che gestisce l’enorme patrimonio di case popolari della Capitale, al cui vertice è stato collocato sette mesi fa come commissario straordinario l’ex consigliere regionale aennino ed ex assessore della precedente giunta di centrodestra Bruno Prestagiovanni, 53 anni: per inciso, titolare di vitalizio regionale oltre che di una retribuzione lorda mensile di 6.741 euro mensili.
Per l’azienda affidata alla sua gestione l’Ici arretrata rappresenta un problema spaventoso. Il Comune di Roma vanta infatti un credito nei confronti dell’Ater di circa 650 (seicentocinquanta) milioni. Dei quali ben 300 di soli interessi. Una situazione che ha provocato non pochi problemi. Come quando la Gerit, un giorno di giugno del 2008, ha bloccato i conti correnti dell’Ater, che non ha potuto rinnovare i contratti di manutenzione. Con il conseguente blocco degli ascensori e le inevitabili clamorose proteste degli inquilini.
Troppo facile capire il perché, sapendo che secondo il bilancio del 2008 il canone medio pagato per ogni alloggio era di 111 euro al mese. Con pigioni minime di 7 euro e 65 centesimi. E questo a fronte di un affitto medio di mercato pari a 945 euro. Va da sé che con incassi simili il conto economico non possa non risentirne. In quel 2008 i conti dell’Ater di Roma, che gestiva 52.592 appartamenti nei quali abitavano 108.099 persone, di cui 33.780 pensionati, si sono chiusi in rosso per 46 milioni di euro. I soli 459 dipendenti costavano più di 20 milioni. Fra il 2008 e il 2009, inoltre, l’ex Iacp romano ha fatto 110 nuove assunzioni.
Ma i problemi con l’Ici non riguardano, com’è intuibile, soltanto la Capitale, anche se le cifre romane sono assolutamente inarrivabili. Nel 2006 le Ater del Lazio hanno dovuto pagare 22,1 milioni. E non tutte ovviamente sono riuscite a far fronte alla tassa. Nel 2008 l’Ater di Frosinone ha proposto al Comune di Ceprano di pagare in natura una quota dei quasi 400 mila euro di imposta arretrata. Cioè cedendo al municipio un immobile.
Il paradosso è che mentre gli ex istituti delle case popolari devono pagare l’Ici sulla prima casa, visto che per tutti gli inquilini assegnatari è quella l’abitazione principale, dall’imposta continuano a essere esentati altri soggetti. Per esempio, sindacati, partiti ed enti religiosi. I benefici accordati dalla legge italiana agli immobili della Chiesa avevano originato, lo scorso anno, una indagine della Commissione europea per verificarne la compatibilità  con le regole sugli aiuti di Stato. Secondo i dati dell’Agenzia ricerca economico sociale, nel 2006 l’esenzione dall’imposta per gli enti ecclesiastici valeva per il solo Comune di Roma qualcosa come 26 milioni di euro. E mentre la Chiesa non deve pagare l’Ici, per assurdo che possa sembrare le Agenzie fiscali invece sono tenute a farlo. Demanio compreso.


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