La sfida della solidarietà  ultima carta per evitare la fine del sogno europeo

by Editore | 28 Dicembre 2011 7:04

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Un’operazione anche materialmente complessa, fu portata a termine nel giro di pochi anni con efficacia, starei per dire con eleganza. 
Oggi quella operazione è in pericolo. Ciò che ha colpito l’euro è una crisi mondiale sorta non nei suoi confini ma all’esterno, in America, generata da una inflazione finanziaria a sua volta promossa da un gigantesco indebitamento che ha minacciato di travolgere le banche americane, coinvolgendo quelle dei Paesi europei attraverso gli stretti legami dell’interdipendenza. Le conseguenze sembrano addirittura più gravi per l’Europa che per gli Stati Uniti, e ciò per ragioni evidenti. Il governo americano ha affrontato la crisi con un piglio drastico: un salvataggio “governativo” in grande stile che ha consentito di sostituire l’indebitamento privato con l’indebitamento pubblico. Il peso della crisi è ricaduto sul contribuente, con conseguenze gravi per la finanza pubblica (paradossalmente “punita” dalle agenzie di rating) ma non tanto da costituire una minaccia di fallimento per lo Stato. Il lato oscuro del modo in cui si è affrontata la crisi americana sta nel fatto che esso non ne ha minimamente rimosso le cause.
Le condizioni dell’Europa sono diverse. In America dietro il dollaro c’è uno Stato. Nell’Unione Europea ce ne sono ventisette. L’impatto della crisi, in Europa , è stato del tutto diverso per gli Stati che presentavano già  finanze pubbliche deficitarie e per quelli più o meno in ordine. Ciò ha determinato contrasti di visione e di azione. Teoricamente erano possibili, al limite, due posizioni. Una solidale che coinvolgesse i deboli e i forti in una unica strategia di difesa. L’altra, “egoista”, che lasciasse del tutto sulle spalle dei deboli i costi dell’aggiustamento. L’Unione sembra aver scelto una via di mezzo, esitante e riluttante. Per esempio, sembra disposta ad approvare l’intervento della Bce a sostegno dei titoli deboli, purchè non sia illimitato: il che lo rende inutile, perché sfida la speculazione proprio a “saggiare” quei limiti. Inoltre, sembra approvare la decisione della Banca Centrale di rifinanziare massicciamente le banche per indurle a riattivare il credito all’economia. Ma se la domanda di credito non è stimolata dalla crescita le banche finiranno per ridepositare quelle somme nella Bce. 
L’attuale “leadership” franco-tedesca sembra consapevole che la sola politica monetaria non è in grado al tempo stesso di garantire la disciplina e di promuovere la crescita. Ma, quando si sposta giustamente sul fronte delle politiche di bilancio, adotta una scelta di rigorosa austerità  che, mentre risponde alle esigenze della disciplina, manca totalmente l’obiettivo essenziale della crescita. E’ così che nel più recente progetto di risoluzione (“international agreement”) che sarà , pare, sottoposto al prossimo Consiglio Europeo, non ci si limita a ribadire i vincoli del “patto di stabilità “, ma li si aggrava pesantemente con ulteriori norme restrittive, alcune delle quali persino ridicole: come quando si minaccia di trascinare di fronte alla Corte di giustizia gli Stati che stanno rischiando niente di meno del fallimento economico. Se questo è il senso della leadership franco tedesca (una leadership minata da forti contrasti interni) c’è da rimpiangere amaramente i tempi di Mitterrand e di Kohl come quelli dell’età  di Pericle. Un governo economico dell’Europa degno di questo nome, anzichè infierire sadicamente sui governi in corso di fallimento, dovrebbe rilanciare il cosiddetto Fondo Salva Stati in un ruolo di “tesoro europeo” precursore di un vero bilancio federale, e finanziare progetti di investimento comuni miranti a promuovere la crescita, lasciando in pace la Corte di Giustizia. E soprattutto, non dovrebbe dimenticare che l’euro non è soltanto un accordo monetario. E’ parte integrante di un grande disegno politico. E’ l’istituzione più coerente con un approccio federalista al grande obiettivo dell’unità  politica europea. Quell’obiettivo è stato più volte ribadito dai governi italiani (tranne quello berlusconiano, provincialmente leghista). Aspettiamo di sapere se il governo Monti lo riassumerà  come suo, oppure si farà  intimidire dal duo carolingio. Se, promuovendo un diverso approccio condiviso da altri Paesi “solidali”, sarà  all’altezza di quella formidabile impresa che, dodici anni fa, consentì all’Italia di Prodi e di Ciampi l’orgoglioso ingresso nell’avanguardia della moneta unica. Una decisa svolta: questo consentirebbe all’Europa di sperare per non sparire.

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