La rete (Fragile) dei guardiani dell’euro
A questo punto incroceranno le dita e si lanceranno nel viaggio forse più coraggioso, in termini finanziari, che l’Italia repubblicana abbia mai affrontato. Gli uomini e le donne del governo ieri sono rientrati da Bruxelles senza più illusioni: il vertice europeo non sarà stato un fallimento — come ricorda il premier Mario Monti — ma lascia il Paese privo di rete sui mercati almeno fino a primavera. I primi tepori di stagione non sono mai sembrati così lontani. «Ho ottenuto ciò che volevo», ha commentato Angela Merkel. La cancelliera tedesca parlava del quadro di regole di bilancio, delle sanzioni per chi le infrange e degli strumenti di vigilanza decisi durante il summit. Ma probabilmente nemmeno lei voleva arrivare al quadro di incertezza che ne risulta: l’equazione fra emissioni di debito, mercati e strumenti di sostegno confermati dal vertice offre per ora più domande che reali risposte. Non c’è un big bazooka, non c’è neppure un firewall, un muro tagliafuoco, o altri oggetti ideali per un dibattito di politica economica su Twitter. C’è invece una giustapposizione di vari tentativi di garanzia parziali, ognuno di per sé insufficiente e dispiegabile in tempi lenti e incerti: una rete fragile e disparata. Non l’ideale perché l’Italia affronti in sicurezza emissioni per almeno 165 miliardi da qua a fine aprile. Il calendario dei bond Era chiaro da tempo che i prossimi mesi sarebbero stati impegnativi per il Tesoro. E non c’entrano tanto i finanziamenti che il governo deve raccogliere entro l’anno: per lunedì è prevista un’asta di Bot a 12 mesi per sette miliardi; mercoledì poi l’Italia tornerà sul mercato con l’ultima operazione del 2011, un collocamento per due o tre miliardi di euro di Btp a cinque anni. Quindi inizieranno le sfide del 2012. Gennaio si presenta più semplice perché in scadenza ci sono solo Bot per 15,2 miliardi, ma allora si vedrà se il Tesoro passerà a emissioni di Bot a tre mesi per tenere più basso il costo degli interessi sul debito. Quindi inizieranno le salite: a febbraio ci sono in scadenza titoli per 53,7 miliardi (16,7 in Bot), a marzo per 44 miliardi e ad aprile per altri 43,7. Se poi si aggiunge anche lo stacco delle cedole e il fabbisogno, il Tesoro nei prossimi quattro mesi e mezzo dovrebbe raccogliere almeno 165 miliardi (di più se a gennaio partiranno i Bot a tre mesi). È il momento peggiore per affrontare un calendario così, perché i rendimenti sono alti e volatili. Per tornare sui titoli italiani, gli investitori dovrebbero avere almeno due certezze. La prima è che il governo faccia di tutto per risanare e rimettere il Paese in condizioni di crescere. Ma la seconda è che in Europa venga stesa una rete di sicurezza: più questa è credibile, più i compratori tornerebbero sulla carta italiana e meno la rete stessa dovrebbe essere effettivamente attivata. Eppure ieri da Bruxelles, ancora una volta, è uscita una struttura che ricorda il caos di un cantiere. Il fondo salvataggi e l’Eurotower Mario Draghi giovedì e i leader politici ieri hanno fatto sapere che la Banca centrale europea funzionerà come «agente» dell’Efsf, il cosiddetto fondo salvataggi. Non un solo euro dell’Eurotower sarà impegnato per queste attività : la Bce si impegnerà solo a svolgere le operazioni di acquisto di titoli sul mercato un po’ come una banca commerciale fa per i clienti privati: un ruolo tecnico, non determinante. L’Efsf peraltro ora ha ben altri problemi da risolvere. Il contagio nell’area euro fa sì che anche il suo spread sui Bund sia alto, circa duecento punti: il fondo ha una presunta capacità potenziale di 440 miliardi, ma in realtà molto meno di effettivamente impiegabile in cassa perché non sta emettendo molti bond. E le sue assicurazioni sul primo 25% delle perdite degli investitori in titoli (poniamo) italiani sono già considerate troppo basse per attirare gli investitori. Il nuovo Esm Una versione più solida sarebbe lo European Stability Mechanism (Esm), considerato un embrione di Fondo monetario europeo. Questo strumento con una dotazione per ora prevista a 500 miliardi è preferibile all’Efsf perché finanziato con capitale già versato dagli Stati, non con emissioni garantite. Ma ieri i leader hanno fatto sapere che non sarà operativo prima del prossimo luglio (al più presto). E quando sarà attivato, i bond degli Stati dovranno contenere clausole che permettano agli investitori di forzare la ristrutturazione del debito di un governo: una prospettiva che il Tesoro detesta; poi c’è un altro problema, che però riguarda anche il Fmi. Il Fondo monetario e Bankitalia Ieri i leader nazionali hanno confermato che «valuteranno» di finanziare il Fmi per altri 200 miliardi di euro. Se trovasse le enormi risorse necessarie, il Fondo monetario in effetti potrebbe lanciare un programma classico (di «stand by») per l’Italia. Ma questo metterebbe in fuga gli investitori, distruggendo il mercato dei Btp, perché in caso di default del Paese i privati verrebbero rimborsati solo dopo il Fondo: lo stesso problema di subordinazione dei privati riguarda l’Esm. È plausibile dunque solo una linea di credito leggera del Fmi, 44 miliardi, molto sotto le esigenze dell’Italia. Resta dunque una sola via, per ora non annunciata e informale: per le prossime aste di liquidità illimitata della Bce, il 21 dicembre e a febbraio, Bankitalia potrebbe accettare a proprio rischio dalle banche garanzie anche di bassa qualità (persino mutui e presti alle imprese). In contropartita, Via Nazionale potrebbe spingere le banche a comprare qualche Bot e Btp in più con parte di quei fondi freschi. Sarebbe indirettamente la monetizzazione del debito che Draghi ha detto di voler evitare. Ma anche lui sa che resta l’opzione più ovvia. Federico Fubini
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