La politica e le armi disponibili

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Berlusconi ha retto finché gli imprenditori, le gerarchie ecclesiastiche, due delle maggiori organizzazioni sindacali, parte della stampa e una folla d’interessi di minor spicco l’hanno sostenuto. Le indecorose traversie della maggioranza in Parlamento, erano i sintomi, non la malattia. 
Perché questa costellazione di convenienze abbia ritirato il suo sostegno lo stabiliranno nei dettagli gli storici. Ma ragione incontestabile è la sua palese inadeguatezza a guidare il paese attraverso una congiuntura economica difficilissima. Attaccata l’Italia dalla speculazione internazionale, incompetenza e discredito dell’esecutivo erano un ostacolo insormontabile sia perché esso assumesse decisioni comunque scomode, sia perché l’Italia ottenesse le necessarie solidarietà  internazionali. 
Alcuni indomiti sostenitori di Berlusconi gridano allo scandalo. Non cadiamo nella trappola. È vero, il berlusconismo andava seppellito tramite le elezioni. Ma l’ipocrita accusa di lesa democrazia levata da Ferrara e compagni conferma solo lo spregio che per due decenni costoro hanno mostrato verso la democrazia stessa. Per chi prenda la democrazia sul serio quello propiziato da Napolitano è un ripiego. Ma un ripiego obbligato: ultimo, speriamo, avvelenato frutto di un ventennio di antidemocrazia berlusconiana. 
La politica si fa con le armi disponibili. Alla luce dell’attuale dislocazione dei rapporti di forza in Parlamento, il governo Monti era forse il solo attorno a cui potesse costituirsi una maggioranza, seppur fragile e contorta. Il valore aggiunto personale di Monti è la sua reputazione internazionale. Non è detto che basti a salvare l’Italia e poi l’Europa dalla catastrofe. Ma se con Berlusconi la catastrofe era certa, con Monti lo è un po’ meno. Nessuno in verità  può dimostrare che andare a elezioni sarebbe stato disastroso. In Spagna non lo è stato. 
Il governo Monti non è un governo di centrosinistra. Dipende da un cospicuo apporto di voti dall’ex-maggioranza di centrodestra e dall’ex-opposizione di centrosinistra. Monti, personalmente, è un convinto adepto dell’ortodossia neoliberale. Ben che vada, si muove tra Scilla e Cariddi. Ma occorre sempre distinguere e cogliere i cambiamenti, anche modesti. La manovra ha pesantemente colpito i ceti deboli. Non solo però a tali ceti il governo Berlusconi aveva inflitto danni assai maggiori e ancora più gravi gliene avrebbe inflitti se avesse fatto lui la manovra ma se non altro Monti ha chiamato a contribuire i ceti abbienti. Da cui era giusto pretendere ben di più, non fosse che i rapporti di forza in Parlamento sono quel che sono. Sempre per distinguere: non sono da sottovalutare i segnali inviati dal governo sul Mezzogiorno, sui beni culturali e su altri temi ancora. C’è da augurarsi ma non mancano dubbi che i i sacrifici servano. E che l’ex-opposizione mantenga qualche capacità  critica e propositiva. Il servile pizzino di uno dei suoi leader al presidente del consiglio nel giorno della sua presentazione alla Camera non è di buon augurio. 
Scontenti per il presente, tocca essere molto preoccupati anche per il dopo. La vecchia coalizione di convenienze che sosteneva Berlusconi si è ricostituita attorno a Monti. Le stentoree prese di distanza di Cisl e Uil non convincono. Berlusconi per costoro è ormai impresentabile. Ciò non toglie che, oltre a far dimenticare gli ossequi tributatigli in passato, alla suddetta coalizione serve un’alternativa politico-elettorale credibile. Non è cosa facile. Il centrosinistra non ha lesinato energie per mostrarsi compiacente, ma Confindustria, Vaticano e C. ne diffidano. E gli orfani di Berlusconi sono già  al lavoro per predisporre un’alternativa. Che tuttavia, priva della regia e dei quattrini del cavaliere (ma guai a darlo per finito!) , rischia di rivelarsi fragilissima, anche se vincesse le elezioni. Qualcuno intravede un centrodestra disciplinato e coerente, in grado di governare?
È tornato così il tormentone delle riforme istituzionali. Lo ripropone Galli della Loggia, autorevole maitre à  penser da quelle parti. Questo governo, ha scritto, corrisponde a ciò che i giuristi chiamano lo stato di eccezione. E nel paese si manifesta – ci racconta ancora – una gran voglia a di novità . Non contentiamoci allora dei modesti espedienti permessi dalla Costituzione. L’eccezione va regolata, aprendo un bel dibattito. Non abbastanza deluso dai disastri del ventennio, eccolo suggerire il solo rimedio che in Italia si conosca alla frammentazione della classe politica: più leadership, meno parlamento e meno partiti. Lor signori stiano tranquilli: nel centrosinistra sono occupatissimi a litigare.


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