La mia gente di Siria resisterà  al martirio

by Editore | 28 Dicembre 2011 8:44

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Entrata nel suo decimo mese e in seguito a decine di migliaia di martiri (seimila secondo alcune organizzazioni di diritti umani) e decine di migliaia di feriti e arrestati, la rivoluzione siriana è giunta alla certezza di essere orfana.La rivoluzione siriana deve abituarsi a contare soltanto sul coraggio di questo popolo, che ha intravisto nella rivoluzione l’occasione vera per scoprire se stesso, la propria identità  e le sue energie nascoste.
Questa rivoluzione è stata anche un’occasione per riproporre domande a lungo ignorate sulla società  siriana, dalla questione delle minoranze alle diversità  culturali, religiose ed etniche che l’hanno caratterizzata da millenni. Questi interrogativi non avrebbero mai rappresentato un nodo problematico da affrontare, come non lo sono mai stati in passato, se non ci fosse stato il ruolo nefasto del regime che ha sfruttato questi temi, mettendo in pericolo una convivenza pacifica millenaria. Questo deludente atteggiamento del regime ha connotato la scena siriana di uno strano surrealismo. 
L’osservatore esterno ha la sensazione di rileggere un lungo e ripetitivo romanzo nel quale si ripropongono le stesse meccaniche e stolte scene e azioni del regime. Dall’altra parte, invece, troviamo i thuwar (i rivoluzionari,ndr) comporre le parti più luminose, con canzoni e balli presi a prestito dalla ricca tradizione siriana. Il popolo siriano ha alimentato questa rivoluzione con un fiume di sangue versato da stormi quotidiani di caduti, tra i migliori figli della Siria, e continua a pagare questo altissimo prezzo, dopo aver atteso inutilmente un soccorso internazionale. 
Questa rivoluzione è iniziata a metà  marzo, dopo l’arresto e la tortura di 15 ragazzi, e non passa un giorno che non vi siano altri ragazzi e bambini vittime degli agenti dei servizi di sicurezza e dei soldati, che hanno usato pallottole militari e non hanno lesinato nulla del loro armamentario repressivo. Ma la rivoluzione non è stata fermata; è giunta nel cuore delle grandi città  come la capitale Damasco e Aleppo e ha toccato l’80% dei villaggi e cittadine siriane. Si è estesa orizzontalmente (geograficamente, ndt) e verticalmente (negli strati sociali, ndt), malgrado gli spaventosi assedi di città  come Deraa, Idlib e Homs che hanno subito repressioni, uccisioni e distruzioni.
Paradossalmente la città  di Homs, il cuore vibrante della rivoluzione siriana, è anche — da secoli — la capitale dell’ironia e della facile battuta sarcastica e pungente. Questa è una delle armi che hanno alimentato la capacità  di resistenza, mobilitando nuove energie; siamo coscienti che non abbiamo altra scelta se non quella della vittoria, perché conosciamo bene il carattere vendicativo di questo regime.
I siriani proseguono, nel mondo virtuale di Internet, questo loro atteggiamento spontaneo e leggero proprio della vita quotidiana. Sorridono a crepapelle nei siti ironici come «Lavaggio internazionale di Homs per carri armati» e altri. Oggi, i siriani condividono le file per acquistare carburanti e gas, il blocco dell’elettricità  e devono far fronte a dure condizioni di vita e una repressione brutale, ma non mancano di inventiva per creare nuove forme di proteste come quelle notturne e per comunicarle al mondo tramite video ripresi dai cellulari e trasferiti alle reti tv internazionali, dribblando la censura del regime. Un aspetto nascosto della rivoluzione siriana è la dimensione della solidarietà  sociale, con la cura dei feriti nelle case e in ospedali da campo, per sottrarli all’arresto. Solidarietà  sociale che ha dovuto inventarsi linguaggi cifrati comprensibili soltanto agli uomini della rivolta e dei loro sostenitori, per impedire che il maglio del potere distrugga la tela della solidarietà  faticosamente tessuta.
La verità  lampante che viviamo oggi è che i siriani non torneranno indietro nelle loro case, fino al momento della vittoria e non aspetteranno l’aiuto di nessuno; sanno di pagare un alto prezzo per il ruolo storico e geopolitico, passato e presente, ma si batteranno per il loro futuro, nel quadro di uno Stato moderno dove troviamo alla base della convivenza civile il diritto di cittadinanza e i diritti umani. Ecco perché quando giorni fa, alla notizia, battuta dalle agenzie d’informazione, sul massacro di oltre un centinaio di persone in uno dei villaggi del Nord, molti siriani hanno risposto con fare innocente: «Un’altra carneficina? E dov’è la notizia?».
Khaled Khalifa
*(traduzione a cura di Anbamed)

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