LA LUNGA SUPPLENZA

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Ma il carattere emergenziale di questa fase non può essere l’unico binario lungo il quale il governo e i partiti dovranno muoversi da qui alla fine della legislatura. Non è pensabile mantenere il Paese nella esclusiva gestione delle urgenze senza alcuna progettualità . Mancano ancora 18 mesi alla scadenza naturale delle elezioni e tutti sono chiamati a uno sforzo per uscire finalmente dalla lunga e indefinita transizione italiana.
L’appello lanciato ieri dal presidente della Repubblica nel saluto alle più alte cariche dello Stato, puntava proprio a marcare alcuni di questi aspetti. Come spesso gli è capitato in questi cinque anni di mandato presidenziale, si è assunto il ruolo di principale collettore tra l’esecutivo e il Parlamento. La funzione di garanzia del capo dello Stato, negli ultimi mesi si è infatti evoluta in quella di guida rispetto a un sistema politico che ancora non appare in grado di uscire da una condizione di soggezione e di sostanziale paralisi.
Il Quirinale ha svolto fino ad ora – e suo malgrado – un compito di supplenza nei confronti dei partiti. E anche ieri quel ruolo è emerso con decisione. Napolitano ha elencato i settori di potenziale o necessario intervento. Ha richiamato i gruppi parlamentari a un confronto finalmente sereno e costruttivo sulle fondamentali sfide che attendono il Paese. Ha bacchettato ministri e parti sociali invitandoli a evitare toni esasperati su questioni la cui centralità  e delicatezza richiedono un confronto più proficuo a cominciare dalle polemiche sui licenziamenti e sulla riforma dell’articolo 18. Ha archiviato la stagione della demagogia federalista e degli inutili proclami secessionisti capaci solo di eccitare lo scontro senza alcuna possibilità  di rendere più efficiente la macchina dello Stato. 
Ma il punto è proprio questo: la via d’uscita dalla Seconda Repubblica va individuata tra e dalle forze politiche. Lo sforzo di Napolitano, nel suo ruolo di “garante-supplente”, è proprio quello di aiutare l’intero sistema a ripristinare le condizioni della democrazia dell’alternanza e a impiantare un nuovo sistema politico compiuto. Uno sforzo che richiede da parte delle forze politiche una sorta di scatto di orgoglio. Che si indirizzi in primo luogo verso la definizione di un pacchetto di riforme istituzionali e di una conseguente legge elettorale che finalmente faccia uscire il Paese da una transizione senza fine. Naturalmente per conseguire questo obiettivo, Napolitano deve assicurare alcune condizioni minime di agibilità : blindare l’azione del governo Monti ancora impegnato a mettere in sicurezza i nostri conti pubblici e ad aiutare l’Unione europea nel momento più critico della sua vita e della vita della moneta unica. E allontanare dall’orizzonte più prossimo il ricorso al voto anticipato.
In questo quadro quello del Professore si presenta ancora come un “governo del presidente”. Nella debolezza della politica e nell’emergenza dell’economia, Napolitano è infatti chiamato dalla Costituzione a far valere tutti i suoi poteri e a presentarsi come “garante”. L’idea allora che la nascita di questo esecutivo possa essere associata a una «sospensione della democrazia» o come dice Silvio Berlusconi a una «anomalia», è smentita proprio dalla Carta costituzionale e da una semplice constatazione: questo governo ha ricevuto in Parlamento la fiducia più ampia mai registrata nella storia repubblicana. Anche il Pdl, il partito guidato dal Cavaliere, l’ha votata ormai in tre circostanze. Senza questo “cambio in corsa”, poi, non sarebbe stato possibile affrontare le sfide che il presente ci impone. Soprattutto sarebbe stato ineluttabile precipitare nel burrone della crisi. E tutti sono consci del fatto che gli ordigni piazzati lungo il cammino dell’Italia – e che il centrodestra non era riuscito minimamente ad allontanare – sono al momento disinnescati ma non eliminati. Lo stesso Berlusconi ammette che le sue dimissioni sono state un atto di responsabilità . E non quindi l’esito illegittimo di un colpo di mano o di uno strappo alle basilari norme che sovrintendono l’attività  delle Camere e dell’esecutivo.
Per gli stessi motivi, ieri il capo dello Stato ha di fatto tracciato una sorta di programma annuale. La giustizia, il lavoro, la crescita, il Mezzogiorno, i giovani, sono questioni che il presidente del Consiglio e soprattutto le forze politiche devono considerare delle vere e proprie “mission”. Rappresentano il corollario necessario, ma non sufficiente, per dare un senso a questi ultimi 18 mesi di legislatura e anche per provare a ricomporre un quadro di civile convivenza. Riformare le istituzioni, dar vita ad un nuovo sistema politico, approdare ad una matura democrazia dell’alternanza dovrebbero essere i “compiti a casa” dei partiti. Quello “scatto d’orgoglio”, insomma, che secondo Napolitano può restituire credibilità  e forza ai partiti stessi. E farli uscire definitivamente dalla transizione e dalle supplenze. Ma tutto questo sarà  possibile solo se la «patologia» dello scontro che ha connotato gli ultimi 18 anni di vita istituzionale lascerà  il passo alla fisiologia del confronto.


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