la guerra del terzo millennio

by Sergio Segio | 6 Dicembre 2011 7:25

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Beirut. L’immenso altipiano dove regnano miseria e paura, abitato soltanto da pastori nomadi e da contrabbandieri, è avvolto nel silenzio appena incrinato dal lontano ronzio di un motore. Il cielo è un lastra di opaline. Le capre, in cerca di cibo, infilano il muso bianco e nero fra le rocce. Nulla deve essere sembrato più alieno a questo angolo di mondo del grande uccello di metallo grigio che, volteggiando senza direzione sulle sue enormi ali, è andato a schiantarsi, sabato scorso, sulla terra arida del Balucistan, al confine tra l’Iran e l’Afghanistan. Eppure questo è l’ultimo fotogramma di una guerra che coinvolge mezzo continente, grandi potenze militari, eserciti, laboratori, scienziati. Mezzi del secolo scorso, come l’esplosivo, o la polvere da sparo, e congegni avveniristici. Una guerra micidiale e spietata, come tutte le guerre, ma anche silenziosa, chirurgica e mirata come non se ne sono mai viste. Le bombe, il sangue, i morti arriveranno dopo.
È la guerra del terzo millennio quella che ha visto la contraerea iraniana abbattere l’aereo spia americano Rq-170 Sentinel, il gioiello dell’industria aeronautica Lockheed, dalle caratteristiche tuttora segrete, ma da tempo considerato il campione riconosciuto fra gli UAN (Unmanned aereal vehicle), aerei senza pilota, volgarmente detti drone, ma questo, a differenza degli altri, dotato della tecnologia stealth che lo rende invisibile ai radar.
Subito gli Stati Uniti si sono affrettati a far sapere, tramite il comando delle forze Nato in Afghanistan che potrebbe trattarsi di un drone di cui i controllori a terra avevano perso le tracce mentre era impegnato in una missione nei cieli dell’Afghanistan. Ma non è stato precisato di che tipo di aereo si trattava. E in ogni caso, hanno subito ribattuto alcuni esperti occidentali, la Nato non avrebbe bisogno di impiegare un aereo così sofisticato e prezioso contro i Taliban, che non hanno né radar, né aviazione, né contraerea. Conclusione: il velivolo abbattuto, o precipitato per un qualche guasto (la versione ufficiale di Teheran non è suffraga da immagini, né da prove certe) era impegnato in una missione di spionaggio contro l’Iran e, verosimilmente, contro il programma nucleare iraniano.
Perché, fra i tanti conflitti “a bassa intensità “, che si combattono nel mondo, e che vedono impegnate le maggiori potenze, direttamente, o tramite comodi alleati, siano essi regimi clientelari o milizie assoldate alla bisogna, propri agenti catapultati oltre le linee nemiche, o killer professionisti eterodiretti, lo scontro che vede contrapporsi Stati Uniti e Israele, da una parte, e l’Iran dall’altra, è sicuramente il più manifesto, eclatante e gravido di conseguenze, vista la posta in gioco. Ed è, innanzitutto, uno scontro per l’egemonia che il possesso (o non possesso) della bomba atomica da parte dell’Iran può facilitare o allontanare per sempre.
A dimostrazione che in questa guerra sommersa c’è un filo rosso che collega tutto, basti pensare che la storia dell’aereo-spia ha riacceso i fari sulla misteriosa esplosione che il 12 novembre scorso ha praticamente raso al suolo il centro di esperimenti balistici non molto lontano da Teheran, dove, a quanto pare, venivano testati missili a lungo raggio capaci di colpire Israele e non soltanto Israele. Fra le perdite provocate dalla esplosione devastante, il capo del programma, Hassan Teherani Moghaddam, un quadro di alto profilo dei Guardiani della Rivoluzione, vicino alla guida spirituale, Ali Khamenei che, infatti, ha officiato il suo funerale, ed altre 17 persone, fra cui sicuramente tecnici ed esperti non facilmente sostituibili. Quale segreto, ci si è chiesti subito, veniva custodito in quella base? L’analisi delle foto satellitari del sito distrutto hanno spinto alcuni analisti americani ad ipotizzare che lì si stava sperimentato, per la prima volta, un nuovo tipo di carburante solido, per i missili a lungo raggio, la cui tecnologia sarebbe in qualche modo approdata in Iran nonostante l’embargo cui da anni è sottoposto il regime degli Ayatollah.
La caratteristica principale di questo “solid fuel” sarebbe quella di permettere il lancio degli ordigni in tempi enormemente più brevi che se venissero alimentati da carburante liquido. Il che, deducono gli esperti implicherebbe che, in caso di attacco aereo israeliano o americano, o di entrambi, attacco ipoteticamente diretto contro le centrali atomiche, per bloccare il programma nucleare di Teheran, le forze armate iraniane sarebbe in grado di indirizzare la loro risposta missilistica contro gli obbiettivi nemici (oltre a Israele hanno posto nel mirino “gli interessi americani nella regione del Golfo”) prima ancora che l’attacco venga portato a termine. Teheran, grazie alle sue nuove acquisizioni in campo missilistico, non perderebbe quella che viene definita la sua “deterrenza”.
Nella guerra del terzo millennio chi possiede la tecnologia ha un vantaggio di partenza sugli avversari. Di conseguenza è d’importanza strategica impedire che il nemico acquisisca certe tecnologie. Uno dei successi che vengono attribuiti all’ex capo del Mossad israeliano, Meir Dagan, è di essere riuscito a “rallentare il passo” della ricerca iraniana verso la realizzazione dell’atomica. Questi non sono argomenti che le autorità  israeliane hanno l’abitudine di commentare. Ma sono le stese autorità  iraniane ad attribuire ai servizi segreti israeliani, ed al Mossad in particolare, la moria che ha colpito scienziati nucleari e tecnici iraniani impegnati nella concretizzazione del piano di arricchimento dell’uranio. Almeno cinque negli ultimi due anni, uccisi con metodi diversi. Il più ingegnoso: due killer in motocicletta che si affiancano alla automobile della vittima designata e vi attaccano un ordigno dotato di un magnete, che esploderà  da lì a poco. Allo steso fine è stato utilizzato anche il super virus Stuxnet che, attaccando i computer del laboratorio nucleare di Natanz hanno imposto alle turbine iraniane una perdita di potenza del 30 per cento. Anche qui, nessuna rivendicazione esplicita.
Alla fine, a parte le indagini sul terreno, l’arsenale tecnologico è quello che ha permesso agli Stati Uniti la cattura e l’uccisione di Osama Bin Laden. Quello stesso tipo di aereo-spia di cui l’Iran vanta l’abbattimento, l’Rq-170 Sentinel, ha svolto decine di missioni nella zona di Abbottabad, in Pakistan, dove si era rifugiato il fondatore di Al Qaeda. Ed è altamente probabile che le sue potenti telecamere abbiano ripreso l’intera irruzione delle forze speciali americane nel covo, inviando le immagini nel famoso studio della Casa Bianca dove Barack Obama, Hillary Clinton, Biden e gli altri consiglieri hanno potuto seguire tutta l’operazione in diretta. E se lì, nel Waziristan, il drone americano ha smesso di operare, è perché i militari di Islamabad, sentendosi a loro volta spiati dagli alleati americani, hanno protestato, seppure a cose fatte, con Washington.
L’aereo senza pilota della Lockheed andrà  presto a far parte dell’arsenale della Corea del Sud nella sua schermaglia infinita contro la Corea del Nord. Finché, inevitabilmente, non sarà  rimpiazzato da qualcosa di ancora più invisibile, sofisticato e letale. E chissà  che, di questo passo, diventata una corsa capace di scavare fossati incolmabili tra schiere nemiche, la guerra non possa un giorno assegnare la vittoria prima ancora di combattere.

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