La guerra a bassa intensità  per distruggere i wobblies

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 Dopo il cosiddetto ciclo del Metallo, dopo la rivoluzione messicana, dopo le lotte dei portuali americani, era probabilmente inevitabile che la penna di Valerio Evangelisti si misurasse prima o poi con il mito forse più potente della lotta di classe in America, ovvero con l’epopea degli «Industrial Workers of the World» (Iww), gli irriducibili wobblies. Ora, con l’uscita del suo ultimo romanzo, One Big Union (Mondadori, pp. 442, euro 18,50) il momento è finalmente arrivato. 
La strada scelta per raccontare una storia che si dipana per circa quarant’anni, dal 1877 al 1919, è quella utilizzata in tanti romanzi dello scrittore bolognese, ovvero mettere al centro della narrazione un vilain, un cattivo, e, attraverso lui, seguire il succedersi degli avvenimenti. Questa volta il protagonista si chiama Robert Coates ed è una spia, un infiltrato all’interno delle organizzazioni sindacali statunitensi. Attraverso i suoi occhi assistiamo al dissolversi delle vecchie organizzazioni come i «Knights of Labor», al ripiegare su posizioni a dir poco moderate, per arrivare poi all’«intelligenza col nemico» di classe, dell’Afl, l’American Federation of Labor, al sorgere improvviso degli Iww.
Coates può ricordare in qualche modo l’Eddie Florio, protagonista di Noi saremo tutto, anche lui un «cattivo», una spia. A differenza di quest’ultimo, però, Coates non rinnega le proprie origini. Se Florio si distacca da una famiglia impegnata nelle lotte cambiando anche nome, il protagonista di quest’ultimo romanzo si muove in continuità  con le scelte del padre, diventato reazionario dopo la militanza sindacale, perché convinto di essere stato abbandonato dai propri compagni in un momento di difficoltà . Non solo, Coates è anche orgoglioso della sua origine irlandese e protestante. È inoltre convinto delle sue idee, pensa davvero di lavorare per il bene del suo paese. Insomma risulta essere un personaggio psicologicamente più sfaccettato, capace anche di provare amore o di essere preda di sensi di colpa. Certo, tali sentimenti sono riservati solo a persone appartenenti alla sua famiglia. Nei confronti degli altri il discorso cambia. Eppure nel lettore mi sembra non possa suscitare lo stesso disprezzo assoluto che invece provoca Florio. E proprio questo lo rende in realtà  molto più inquietante.
Attorno a questo personaggio ruotano tanti altri personaggi, resi magistralmente dalla scrittura di Evangelisti con tratti rapidi ed efficaci. Ci sono i proprietari delle varie agenzie per cui Coates lavorerà  o con cui avrà  a che fare. I padroni, arroganti e/o paternalisti, decisi a sfruttare in maniera sempre più pesante i propri sottoposti e ad approfittare del periodo di crisi per rimodellare i rapporti lavorativi, sottraendo diritti e incrementando i profitti. Ci sono anche scrittori famosi, come Jack London, con le sue idee socialiste, e Dash Hammett, che lavorò per l’agenzia Pinkerton. E poi ci sono i militanti, i proletari, gli agitatori, i sindacalisti. E soprattutto loro, i wobblies, con la loro nuova idea di un unico grande sindacato, rivolto a tutti i lavoratori non solo a quelli professionali o regolarmente inquadrati, ma anche, e soprattutto, ai taglialegna, ai vagabondi, ai braccianti, ai disoccupati, ai manovali a giornata, ai neri, agli immigrati, insomma a tutti i precari. Capaci di utilizzare canzoni e fumetti per diffondere idee e lotte o di inalberare striscioni con su scritto: «Vogliamo il pane e le rose». Orgogliosi nel rimarcare la loro distanza anche dalla politica: «Siamo gli Industrial Workers of the World. Conteniamo già  l’organizzazione che verrà ». Convinti di rappresentare il futuro, di essere, come afferma uno di loro, «la società  nuova che nasce nel seno della vecchia. Non era quello che auspicava Karl Marx? Gli wobblies mettono in pratica il suo pensiero senza troppe complicazioni dottrinarie». 
Ci saranno vittorie, a volte veri e propri trionfi, ma anche sconfitte, divisioni, scontri. Ma attraversando questa storia, la storia di un movimento di classe di circa un secolo fa, quello che sorprende di più sono le affinità  con la situazione attuale. Dall’emergere sul palcoscenico delle lotte di figure di precari, non garantiti, immigrati, con il tentativo di crearne un’organizzazione e con i passi avanti, ma anche indietro lungo tale strada, con gli errori, ma anche con l’invenzione di nuove forme di lotta, la solidarietà  – «An injury to one is an injury to all” cioè “un torto fatto a uno è un torto per tutti» era il motto degli Iww – ma anche le dispute e i protagonismi. Fino al tentativo da parte del capitale di far pagare il prezzo della crisi a quello che oggi si definirebbe il 99% in lotta contro l’1%. Il tutto raccontato dallo stile dark, nero e dalla scrittura secca e cristallina di Valerio Evangelisti, una scrittura senza orpelli e capace di tenere il lettore letteralmente incollato alla pagina.
Completa il libro una bella bibliografia a cui forse andrebbe aggiunto il volume La rivista Primo Maggio a cura di Cesare Bermani (DeriveApprodi, Roma 2010) a cui è allegato un dvd con la collezione completa della rivista che spesso si occupò degli Iww e che probabilmente ha contribuito, al pari di altri studiosi, alla conoscenza degli wobblies in Italia.


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