La fase due del Professore

by Sergio Segio | 22 Dicembre 2011 8:27

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Cambia il governo ma il copione è identico. Il ministro Giarda chiede il voto di fiducia sul decreto Monti e il senato, senza sorprese né modifiche, trasformerà  definitivamente in legge l’aggiustamento lacrime e sangue imposto dal governo tecnico.
L’unica differenza con i tempi di Berlusconi è la coreografia: la consueta gazzarra leghista in aula a Palazzo Madama. I senatori del Carroccio, dotati di fischietti rumorosissimi, hanno inveito contro il governo trasformando per pochi minuti gli scranni del parlamento in uno stadio. Come alla partita, rissa sfiorata con i commessi intervenuti a portare la calma su ordine del presidente Schifani. Come per gli ultras, domani si userà  qualcosa di simile alla prova tv per sanzionare i fischiatori in maglietta verde.
In appena cinque giorni di lavoro, weekend escluso, il senato ha approvato il decreto Monti. Testo blindato, emendamenti affondati dal voto di fiducia. Si volta pagina. Grazie alla recessione la quarta manovra in un anno (la quinta se si conta anche il decreto sviluppo di marzo) porterà  la pressione fiscale ufficiale a un astronomico 47% nel 2014. Un dato mai raggiunto nella storia del nostro paese (attualmente è a un già  altissimo 44%) e tra i più alti del mondo. Il Professore però guarda già  avanti. Primo ostacolo concreto, il tradizionale decreto milleproroghe di fine anno che venerdì sarà  approvato dal consiglio dei ministri. Monti, nelle riunioni coi tecnici dei vari dicasteri, ha avvertito che non vuole norme che «erodano» la manovra appena approvata. A giudicare dalle prime bozze, si tratterebbe di un provvedimento snello e senza novità  rilevanti. Ci sarebbero il blocco degli sfratti per tutto il 2012 e il prolungamento della sociale card, lo slittamento di un anno per le verifiche sismiche e l’accatastamento degli immobili rurali, la conferma delle assunzioni nella pubblica amministrazione già  autorizzate per tutto il 2012. Previsto in modo esplicito il finanziamento di 23,4 miliardi di euro da parte della Banca d’Italia al Fondo monetario internazionale. Un «chip» garantito dallo stato che consentirà  all’Italia di riceverà  a sua volta da Washington i fondi necessari al salvataggio del debito pubblico. In questa fase dunque, almeno da parte del governo, non c’è nulla di nulla sulle aste televisive al posto del «beauty contest» né verrà  un alleggerimento delle penalizzazioni per le pensioni (solo due dei tanti argomenti caldi restati fuori dalla manovra).
Oggi alle 12.30 Monti parlerà  in senato e incasserà  la fiducia. Dopo di che, Palazzo Madama chiuderà  fino al 10 gennaio: venti giorni di ferie. Il Professore userà  le vacanze natalizie per serrare i bulloni della sua malmostosa maggioranza parlamentare. La più ampia della storia ma anche la più eterogenea. Complici le feste imminenti e il decreto di fine anno, il premier ha visto separatamente a Palazzo Chigi per un paio d’ore ciascuno sia Berlusconi (ricevuto a pranzo insieme a Letta, Catricalà  e il ministro per i rapporti europei Moavero) sia Bersani (in serata). Da entrambi la conferma che le cose vanno bene, che la fiducia nel governo è solida. E che come indicato perentoriamente dal capo dello stato bisogna andare col governo dei tecnici. Ma come? Al di là  della panna montata sui giornali, in parlamento la massa di manovra a disposizione nel governo nelle varie commissioni è assicurata essenzialmente solo dal Pd e dal «terzo polo». Svanito l’incubo della conta, il Pdl ormai segue i lavori distrattamente, mentre Lega e Idv fanno fuoco e fiamme. Visti i numeri della maggioranza, infatti, la fiducia sulla manovra si spiega più come un pretesto per togliere al Carroccio e a Di Pietro un predellino mediatico da cui lanciare la protesta e l’opposizione che per il timore di imboscate concrete sul provvedimento. Fragilissimo eppure apparentemente fortissimo, Monti va avanti. E nel Pd, soprattutto, serpeggia la preoccupazione per i compiti ai partiti affidati da Napolitano. L’economia è nelle mani del Professore ma tutto il resto, a cominciare dalle riforme e dalla legge elettorale spetta a Pd e Pdl. E’ ormai ineludibile la creazione di una sorta di «cabina di regia» politica che discuta, nel merito, almeno i provvedimenti su cui il governo sicuramente non interverrà , legge elettorale e riforme istituzionali in testa. Vista dai rispettivi stati maggiori, la cosa è ardua mediaticamente e ancora di più politicamente. Trovare accordi credibili sia tra partiti che dentro i vari partiti è un’impresa (l’articolo 18 è solo uno dei mille esempi delle croniche divisioni democratiche). Nel Pdl, visto l’exploit di Napolitano, cresce la voglia di puntare tutto sul presidenzialismo. Una tentazione che si appaleserà  soprattutto l’anno prossimo, quando le urne si avvicineranno. L’ombrello dell’emergenza perenne, insomma, copre solo in parte le differenze e le diffidenze tra le varie forze politiche costrette dal Quirinale (cui la Costituzione affida il compito di nominare il presidente del consiglio) a votare la fiducia al Professore un mese fa.

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