La democrazia radicale che sorge dalle differenze

by Editore | 31 Dicembre 2011 7:40

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Si è spesso sostenuto che in passato si traducesse in Italia troppa saggistica «di sinistra». Poi con il «riflusso» l’industria editoriale ha bruscamente mutato registro: è diventato difficile pubblicare libri legati alla riflessione marxista, e ancor più tradurli. Nonostante ciò, desta sorpresa il fatto che un libro importante come Egemony and Socialist Strategy di Ernesto Laclau e Chantal Mouffe, apparso in lingua inglese nel 1985 e tradotto in molti paesi, esca da noi solo ora, per i tipi del Melangolo (Egemonia e strategia socialista. Verso una politica democratica radicale, pp. 284, euro 20) e per merito soprattutto dei due studiosi – Fortunato Cacciatore e Michele Filippini- che lo hanno tradotto, firmando anche una impegnata introduzione, utile guida al testo e alla comprensione dei suoi rapporti con la French School.
Gramsci rivisto e corretto
Se il «post-marxismo» ha un atto di nascita, esso è in quest’opera, famosa ma anche molto controversa, originale mistura di influenze derridaiane, di althusserismo e di una lettura di Gramsci che, allontanandosi consapevolmente dall’autore dei Quaderni, ne segnò paradossalmente la grande diffusione (anche se distorta e frammentaria) nel mondo anglofono, almeno per quel che concerne l’indirizzo dei cultural studies divenuto da allora predominante, nonché per i subaltern studies nella loro versione statunitense, molto influenzata da Gayatri Chakravorty Spivak. Ma cosa vuol dire «post-marxismo»? Secondo i due autori, la «riappropriazione di una tradizione intellettuale e allo stesso tempo il suo superamento», nella convinzione che «molti antagonismi sociali, molte problematiche cruciali per la comprensione delle società  contemporanee, appartengono a campi di discorsi esterni al marxismo, e non possono essere riconcettualizzati nei termini delle categorie marxiste».
Tre gli elementi principali che hanno «surdeterminato» questa convinzione: la crisi del peso (numerico e politico) della classe operaia in Occidente; l’emergere dei «nuovi movimenti» in lotta per obiettivi parziali, per quanto avvertiti come vitali da porzioni più o meno larghe di popolazione (minoranze razziali, sessuali, soggetti in cerca del riconoscimento dei rispettivi diritti); e il tema del superamento dello strutturalismo, nella convinzione che non vi sia alcuna struttura sottesa alla realtà  storico-sociale, e men che mai un insieme dialetticamente concepibile, ma «differenze» ognuna impegnata nei propri percorsi.
Prendendo le mosse dalla tradizione marxista, di cui venivano criticate non solo le versioni più economicistiche, ma anche le teorie basate sulla «determinazione in ultima istanza» dell’economico (vizio nel quale sarebbe caduto alla fine lo stesso Althusser), gli autori vedevano nella categoria gramsciana di egemonia quanto meno la consapevolezza delle difficoltà  del marxismo di spiegare la «contingenza» sulla base della struttura e il tentativo di trovare una soluzione all’impasse teorico sul terreno dell’azione politica. Una convinzione a cui non è estranea la riflessione sul peronismo (esperienza difficilmente catalogabile in chiave marxista) dell’argentino Laclau. E un esito che in qualche modo può essere accostato alla tradizione del comunismo nostrano: non a caso, l’unico, impegnato tentativo di interlocuzione italiana con le tesi del libro fu compiuto al suo apparire da Nicola Badaloni sulla rivista teorica del Pci Critica marxista.
Identità  perdute
Ciò che tuttavia allontana il libro dalla tradizione gramsciano-togliattiana (come dal marxismo tutto) è il rifiuto di leggere la società  come segnata dalla lotta per l’egemonia tra «classi fondamentali», soggetti ultimi ineliminabili dell’egemonia per Gramsci. Il problema non è per i due autori quello di legare i «nuovi movimenti» alla classe lavoratrice comunque intesa: anzi, concepire ancora un soggetto come privilegiato nel teatro della lotta per il cambiamento vuol dire cadere nel peccato capitale che il libro, come tutta la cultura post-moderna, denuncia incessantemente: l’essenzialismo, ovvero il definire l’identità  dei soggetti «ontologicamente», «a priori» – in realtà  (per il marxismo) a partire dalle dinamiche sistemiche in cui essi sono inseriti. È invece la «politica» che dovrebbe dar vita – per Laclau e Mouffe – a un «blocco» di soggetti antagonistici, confluenti in un progetto di cambiamento che ha per gli autori i connotati di una «democrazia radicale», che non esclude a priori misure di tipo socialista, ma che di fatto ne prescinde grandemente.
Molti gli spunti e le pagine interessanti del libro, come la critica al «carattere fondativo dell’atto rivoluzionario» a favore del carattere processuale del cambiamento (guerra di posizione) o il tema centrale della ideologie, delle identità  e dei soggetti, di cui si dà  una rappresentazione complessa, dinamica e sfaccettata che non sarebbe dispiaciuta a Gramsci, per il quale i soggetti non sono una pura espressione dell’economico, anche se da esso non prescindono. Certo, gli individui concreti vivono sulla propria pelle più contraddizioni nello stesso tempo, come il libro sottolinea. E in alcune contingenze non è detto che quella di classe sia la contraddizione principale, anche per un/una subalterno/a. Ma – a parte la differenza di genere, che ha uno statuto molto particolare – si è sicuri che queste contraddizioni «non di classe» non siano superabili nell’ambito del sistema sociale dato? 
Il blocco delle equivalenze
In molti paesi la situazione delle minoranze etniche o sessuali, ad esempio, è notevolmente migliorata, ed esse hanno perso radicalità  e carica innovatrice. A oltre un quarto di secolo dall’uscita del volume, invece, nonostante tutti i cambiamenti registrati, la centralità  del «fattore economico» nella vita degli individui non sembra venuta meno, come il problema del lavoro (o del non lavoro: è lo stesso) continua ad avere una incidenza innegabile. In un progetto socialista la rilevanza di questo «fattore», e la sua decisività  sociale e individuale, sembra ancora oggi evidente. 
Laclau e Mouffe segnalano dunque problemi reali del marxismo, ma non sembrano offrire più avanzati terreni di analisi e di lotta. Disegnano un campo in cui tutte le micronarrazioni e tutte le identità  appaiono uguali: da dove nasca la possibilità  che esse facciano «blocco», che – per dirla nel linguaggio degli autori – si formi una «catena di equivalenze», ovvero (per capirci) si formi una «coalizione arcobaleno» alla Jessi Jackson fra tutti i movimenti in cerca di diritti, una coalizione capace di cambiare il sistema radicalmente, come il libro auspica, non si capisce.

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