by Editore | 21 Dicembre 2011 7:10
FIRENZE – Non è “solo” una casa d’opera e un auditorio articolato in vari spazi. Non è “solo” un parallelepipedo con il colore della luna, che punta verso il visitatore in arrivo dal vialone esterno come la tolda di un’astronave, o un blocco fantascientifico le cui linee si perdono nel cielo fiorentino. Quello del nuovo Teatro dell’Opera di Firenze non è, “semplicemente”, un discorso estetico. La peculiarità sta innanzitutto nel proporsi come uno strumento musicale vero e proprio, seppure dilatato in misure iperboliche: «È davvero un teatro che suona, nel senso che il progetto d’ingegneria acustica, affidato a Jà¼rgen Reinhold della Mà¼ller di Monaco, che ha curato anche il Bolshoi di Mosca e il Parco della Musica di Roma, ha avuto, qui a Firenze, una genesi completamente integrata alla strategia architettonica», spiega Paolo Desideri, che con Maria Laura Arlotti, Michele Beccu e Filippo Raimondo (Abdr Architetti Associati) ha progettato il nuovo complesso. Lo studio romano ha già realizzato, tra l’altro, la ristrutturazione del Palazzo delle Esposizioni a Roma e la nuova stazione per l’alta velocità di Roma Tiburtina, e firmerà un teatro per opera e balletto in Kazakistan. «Bisogna immaginare la cassa di uno stereo gigante», continua Desideri a proposito della nuova creatura fiorentina, «dove l’acustica vive nella struttura che la contiene. Non è previsto il minimo accorgimento per orientare il suono: niente pannelli, né ali lignee sospese o elementi correttivi. La musica si sviluppa tutta all’interno dell’edificio di cui ha condizionato le forme e i materiali».
«L’acustica è eccellente», ha confermato entusiasta, dopo le prime prove, il maestro Zubin Mehta, che da un quarto di secolo è a capo dell’Orchestra del Maggio Musicale Fiorentino. Per lui si concretizza un sogno: «Speravo da molti anni che si costruisse un moderno teatro degno di Firenze e della sua orchestra; e ora, finalmente, nasce questa casa per il Maggio. Prima, per capire la qualità dell’orchestra, era necessario ascoltarla in tournée all’estero, dove le sale hanno una resa acustica ben più elevata di quella del vecchio Teatro Comunale. Adesso la neonata cittadella della musica arriva a colmare la lacuna».
Il via scatta stasera: grazie a una velocità prodigiosa dei tempi di lavoro (lo studio ha vinto il concorso nel gennaio 2008, e la SAC di Claudio ed Emiliano Cerasi ha aperto il cantiere nel gennaio 2010), oggi si festeggia l’inaugurazione (parziale: bisognerà attendere qualche mese per la piena funzionalità del tutto; finita la kermesse si riapre il cantiere). Zubin Mehta, alla testa dell’Orchestra del Maggio, guiderà un concerto che verrà trasmesso in diretta su Ra5. «Apriremo con l’Ouverture Leonore n. 3 di Beethoven», annuncia il direttore indiano, «e chiuderemo con quel grandioso messaggio di fratellanza e solidarietà che è la Nona Sinfonia beethoveniana». Al centro, tra i due titoli, eseguirà una novità del compositore fiorentino Sylvano Bussotti, Gegenliebe (“Amore ricambiato”), commissionata dal Maggio, e l’evento è solo il primo di una rassegna di dieci giorni (in programma c’è anche Claudio Abbado che dirige Brahms e Mahler, il 23) organizzata per celebrare il battesimo del teatro.
L’aerea destinata alla “cittadella”, sorta grazie ai fondi per i 150 anni dell’Unità (spesi 150 milioni), non è distante dalla vecchia sede del Comunale sull’Arno, messa in vendita per 33 milioni. È situata tra il Parco delle Cascine e l’ex Stazione Leopolda, e ha preso forma in un succedersi di volumetrie che affiorano da un sistema articolato di piazze. C’è la sala più capiente per la lirica, con 1800 posti, che ripropone la tradizionale forma “a ferro di cavallo”, ma con una radicale innovazione nelle linee del disegno; c’è lo spazio votato all’attività concertistica, che ospiterà 1100 persone; e c’è la torre scenica di 40 metri, che quando cala il buio si trasforma in una luminescente sentinella. La luce proviene dall’interno con l’esito di una griglia di liste di cotto smaltato. Il risultato visivo è fortemente semantico: la fitta serie di tagli che fendono la materia diventa quasi una scrittura. In più c’è la Cavea per gli spettacoli estivi, capace di accogliere 2000 spettatori: questo “copricapo” della casa d’opera, di candore abbagliante, funge da tetto e ha la tipologia dell’acropoli greca, col suo sfilare di gradinate in marmo cipollino.
Mehta ha collaborato alla messa a punto degli spazi, chiedendo che la sala grande non avesse parapetti, per evitare rifrazioni sonore e garantire ad ogni spettatore la massima visibilità , e ottenendo «palchi e balconate che sembrano scucchiaiati, come svuotati da palline di gelato», li descrive Desideri. Quanto alla resa acustica, dipende dalla foderatura di rete metallica che ammanta le superfici interne. «È simile alla garza della cassa di uno stereo, o alla maglia ferrigna delle antiche armature», avverte Desideri. La sua tinta rugginosa si armonizza con il brunito dei palchi, il grigio piombo delle poltroncine (è la prima volta che ci si oppone alla norma del velluto scarlatto in platea) e il marrone ambrato del legno di pero che plasma un ambiente concepito come una cassa armonica, «secondo una filosofia in cui è la forma ad assicurare l’ottimizzazione sonora», afferma Desideri, «e non l’acustica ad adattarsi a un’estetica precostituita».
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