La cultura Omar Calabrese e l’arte che inganna lo spettatore

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Niente è più attuale dell’inganno visivo, della simulazione al servizio della dissimulazione, della spettacolarizzazione che nasconde l’impoverimento dei contenuti. Così il trompe l’oeil può essere metafora del presente, l’esaltazione di una percezione soggettiva che rischia di diventare “trompe l’intelligence”, come ci ricorda il semiologo Omar Calabrese in un raffinato volume appena pubblicato da Jaca Book, alla riscoperta di una delle sfide primordiali degli artisti: riuscire a catturare la prospettiva del reale, la tridimensionalità  di un’opera molto tempo prima di quel che oggi chiamiamo 3D. «Ho allargato il concetto di trompe l’oeil, estendendolo alla tecnica rappresentativa e non al più famoso genere da cavalletto. Una lettura che ci porta a risalire fino all’VIII secolo a. C., ad alcuni affreschi murali sulle tombe vicino all’antica Troia», spiega il docente di semiotica presso la facoltà  di Lettere e filosofia dell’università  di Siena. L’arte del trompe l’oeil, insignito dall’Académie des Beaux-Arts del prestigioso Prix Bernier, rivisita opere di Giotto, Cimabue, Raffaello, Michelangelo, ma anche di artisti moderni e contemporanei come Manet, Magritte, Dalà­, fino ad arrivare ai graffiti delle metropoli del XXI secolo. Mentre la critica d’arte si è sempre concentrata sul prodigio esecutivo, Calabrese vuole riscoprire la forza estetica di quest’espressione visiva paradossale, che fa vedere proprio mentre nasconde. 

Questa tecnica è tornata a vivere sotto nuove forme contemporanee?
«L’arte del trompe l’oeil è diventata totale. Ha invaso spazi urbani, facciate, luoghi pubblici, è metafora della vita metropolitana. La meraviglia, effetto barocco di ritorno, è coerente con le leggi dello spettacolo e delle comunicazioni di massa. Questo antico genere assume adesso una funzione eminentemente spettacolare, in linea con la sensibilità  della nostra epoca che tenta di rendere lo spettatore complice di ogni opera, basti pensare alla moda del 3D nel cinema».
Per alcuni artisti è diventato uno strumento di critica sociale. 
«Il trompe l’oeil può servire a riflettere sul consumismo e il capitalismo avanzato, come capita con la Pop Art che imita i manifesti commerciali e i contenitori di merci. È il filone della critica sociale che si sviluppa oggi con la Street Art e alcuni noti graffitari, ad esempio i disegni di Banksy che ha dipinto sul muro eretto fra Israele e Palestina, immaginando un mondo meraviglioso da una parte e dall’altra. Dall’invenzione scenografica, teatrale, architettonica dell’antichità , il trompe l’oeil ha attraversato la sua autodistruzione, con l’iperrealismo, per tornare oggi a una funzione più ludica e critica. Per due millenni è stata un’arte destinata essenzialmente a un consumo di lusso, ora si ribella al lusso stesso».
La definizione del genere è avvenuta solo nell’Ottocento.
«Nel ‘600, si è incominciato a parlare in Italia di “inganno degli occhi”, anche se poi la definizione che si è affermata è quella francese di trompe l’oeil, utilizzata le prime volte nella critica d’arte ottocentesca. Il concetto comunque è antichissimo. L’illusione pittorica già  compare nella pittura greca e romana, per poi svilupparsi con il Rinascimento e diventare un genere autonomo in epoca barocca». 
È soprattutto un virtuosismo tecnico?
«L’espressione più famosa è il quadro da cavalletto che si diffonde nel ‘600 e coincide con la natura morta, sviluppando all’estremo gli elementi fondamentali. In verità , è un tipo di comunicazione visiva universale, conosciuto per la simulazione dei materiali in rilievo, l’apertura di vedute fittizie sulle pareti piane, lo sfondamento dello spazio verso l’esterno, la distanza ravvicinata per imitare gli oggetti d’uso comune, l’imitazione di cupole e volte, fino a giungere oggi alla trasformazione illusoria delle strade o dei muri esterni nelle città ».
La rappresentazione illusoria ha avuto una connotazione positiva o negativa a seconda delle epoche.
«Esiste un nutrito dibattito filosofico in proposito. Platone condannava la produzione di immagini come attività  sofistica, che quindi allontanava l’individuo dall’aspirazione alla verità  presente nel mondo delle idee. Definiva la pittura “skiagraphia”, con il significato di apparenza, illusione. In altri periodi, si sono sviluppate invece polemiche contro l’esattezza pittorica, considerata ostacolo all’espressione stilistica, ed è quello che si è visto nell’arte moderna, in cui addirittura il concetto di rappresentazione è stato demolito da avanguardie come il surrealismo o il cubismo. D’altra parte ci sono i problemi riguardanti le tecniche figurative necessarie per ottenere l’inganno che variano a seconda delle epoche, in un percorso che va dagli antichi mosaici fino alla fotografia e al cinema».
Eppure lei sostiene che non si può dire che lo spettatore sia davvero ingannato.
«Il trompe l’oeil è piuttosto un procedimento virtuoso, dal punto di vista prospettico, per coinvolgere lo spettatore in un’illusione di realtà . Lo spettatore non confonde le figure e le cose, ammira l’efficacia della rappresentazione. Se la capacità  tecnica è al servizio del contenuto, s’inserisce in un certo orientamento dell’arte. Quando si elimina drasticamente il contenuto, diventa stupore spettacolare fine a se stesso, e assume probabilmente una connotazione negativa».


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