by Editore | 23 Dicembre 2011 8:47
C’è stata una rapida crescita del credito, che non ha avuto come canale il sistema bancario tradizionale ma soprattutto il «sistema bancario ombra» non regolamentato, non sottoposto alla vigilanza di organismi pubblici e non sorretto da garanzie pubbliche sui depositi. Ora la bolla sta scoppiando e ci sono ragioni concrete per paventare una crisi finanziaria ed economica.
Sto parlando del Giappone alla fine degli anni 80? Oppure sto descrivendo l’America del 2007? Potrebbe essere l’uno o l’altra, ma nel caso specifico sto parlando della Cina, che sta emergendo come un altro focolaio di problemi nel contesto di un’economia mondiale che in questo momento ha bisogno di tutto tranne che di cose del genere. Finora ero stato molto riluttante a pronunciarmi sulla situazione cinese, anche perché è difficilissimo capire che cosa stia succedendo effettivamente. Tutte le statistiche economiche nella migliore delle ipotesi sono una sorta di romanzo di fantascienza particolarmente noioso, ma quelle cinesi più di tutte le altre. Mi piacerebbe trovare un esperto di cose cinesi in grado di darmi qualche indicazione, ma sembra che ogni esperto abbia una sua teoria, diversa da quella di tutti gli altri.
Anche limitandosi ai dati ufficiali, però, la situazione è inquietante e le notizie recenti sono sufficientemente drammatiche da far suonare un campanello d’allarme.
L’elemento più sorprendente dell’economia cinese nell’ultimo decennio è la lentezza dell’incremento dei consumi delle famiglie rispetto alla crescita complessiva: in questo momento la spesa per i consumi ammonta ad appena il 35 per cento circa del Pil, più o meno la metà del dato statunitense.
Ma allora chi è che compra i beni e i servizi che la Cina produce? In parte siamo noi: con la riduzione del peso dei consumi nell’economia, la Cina si è affidata sempre di più al surplus commerciale per tenere a galla l’industria manifatturiera. Ma il fattore più significativo, dal punto di vista cinese, è la spesa per investimenti, che è schizzata fino a sfiorare la metà del Pil. La domanda ovvia è: con una domanda di consumi relativamente bassa, qual è la ragione di tutti questi investimenti? E la risposta è che dietro c’è soprattutto una bolla immobiliare, che si gonfia sempre di più. Gli investimenti nel settore immobiliare sono più o meno raddoppiati, in percentuale del Pil, dal 2000 a oggi, e rappresentano più della metà dell’aumento complessivo degli investimenti. E il resto sicuramente deriva, in buona misura, dall’espansione di aziende che vendono i loro beni e servizi alla fiorente industria delle costruzioni. Ma siamo sicuri che si tratta di una bolla? Ne ha tutti i segni caratteristici: non solo l’aumento dei prezzi, ma anche quel genere di febbre speculativa che conosciamo fin troppo bene per averla sperimentata sulla nostra pelle appena qualche anno fa (pensate alle coste della Florida).
E c’è anche un altro parallelo con l’esperienza americana: la gran parte del boom del credito viene non dalle banche, ma da un sistema bancario ombra non controllato e non protetto. Scendendo nel dettaglio, le differenze sono considerevoli: il sistema bancario ombra all’americana implicava, tendenzialmente, prestigiose società di Wall Street e strumenti finanziari complessi, mentre la versione cinese di solito riguarda banche clandestine e perfino monti di pietà . Le conseguenze però sono simili: in Cina, come in America qualche anno fa, il sistema finanziario potrebbe essere molto più fragile di quanto mostrino i dati sulle banche convenzionali.
Ora la bolla sta visibilmente per scoppiare. Quanti danni infliggerà all’economia cinese (e a quella mondiale)?
Alcuni commentatori dicono di non preoccuparsi, che la Cina ha leader forti e intelligenti, che faranno tutto quello di cui c’è bisogno per far fronte a un rallentamento dell’economia. Il sottinteso, quasi mai esplicitato, è che la Cina può fare quello che è necessario fare perché non deve preoccuparsi delle sottigliezze della democrazia.
Mi sembrano tanto le ultime parole famose. Ricordo benissimo di quando i giapponesi dicevano le stesse cose negli anni 80, di quando si sentiva dire che i brillanti burocrati del ministero dell’Economia nipponico avevano tutto sotto controllo. E mi ricordo, anni più tardi, di quelli che si sperticavano a dire che l’America non avrebbe mai e poi mai ripetuto gli errori che erano stati all’origine del decennio perduto del Giappone, quando in realtà le cose da noi stanno andando molto peggio di come andavano in Giappone.
Personalmente le dichiarazioni delle autorità cinesi sulla politica economica non mi sembrano particolarmente lucide e illuminate. In particolare, le misure assunte dalla Cina contro gli stranieri (ad esempio l’imposizione di un dazio punitivo sulle importazioni di automobili di fabbricazione statunitense, che non sarà di alcun aiuto all’economia del Celeste Impero, ma contribuirà ad avvelenare le relazioni commerciali con Washington) non mi danno l’idea di un Governo maturo, che sa quello che sta facendo. Altri dati episodici sembrano indicare che il Governo cinese non sarà condizionato dai vincoli dello Stato di diritto, ma è condizionato dall’onnipresente corruzione, e questo significa che ciò che accade effettivamente a livello locale può avere ben poco a che fare con quello che ordinano a Pechino.
Spero di non essere inutilmente allarmista a questo proposito, ma è impossibile non essere preoccupati: la storia cinese ricorda troppo da vicino i disastri che abbiamo visto in altre parti del mondo. E un’economia mondiale già in sofferenza per i guai dell’Europa non ha davvero bisogno di un’altra scossa sismica.
*(Traduzione di Fabio Galimberti)
Source URL: https://www.dirittiglobali.it/2011/12/la-crisi-mondiale-e-laincognita-cinese/
Copyright ©2024 Diritti Globali unless otherwise noted.