La crisi ecologica del ’29

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“The Natural History and Antiquities of Selborne” (1789) raccoglie le lettere indirizzate dall’autore, Gilbert White, allo zoologo Thomas Pennant e all’avvocato naturalista Daines Barrington, una miniera di informazioni su flora, fauna, clima, abitanti, siti storici della sua parrocchia. A differenza dei testi in voga all’epoca, ha pochissime immagini ed è il frutto, e qui sta il suo valore, di un’osservazione diretta, sul campo. È l’inizio di una scienza naturalistica che esce dai laboratori tassonomisti. White individua specie nuove, mette in relazione, capisce il ruolo positivo del lombrico per la fertilità  del suolo, studia il comportamento, anche sessuale, degli animali, in particolare degli uccelli, attento ai suoni e al canto, con la curiosità  e l’acutezza con le quali Jane Austen penetrava nella natura umana del vicino piccolo mondo di Steventon. La storia naturale di Selborne è ritenuto il testo pionieristico della storia ambientale, una nuova disciplina nata negli anni Settanta con i movimenti ambientalisti che riporta la natura nella storia. La ricerca prende in esame diversi ambiti: i cambiamenti lenti dei tempi biologici e le trasformazioni storiche; l’ecologia; la sensibilità  e le idee di natura; la conservazione e i movimenti ambientalisti. Alfred Crosby, Jared Diamond, Richard Grove, Donald Hughes con un manipolo di altri storici, Piero Bevilacqua in Italia, hanno dato il giusto rilievo ai grandi passaggi tecnologici e culturali dell’umanità  che hanno mutato profondamente l’aspetto fisico e l’equilibrio del pianeta – l’agricoltura nel neolitico, il colonialismo e la rivoluzione industriale – seguendo le tracce lasciate da un altro pioniere, George Perkins Marsh (Man and Nature, 1864). In un colloquio avuto con lei mentre scriveva il suo testo sulla rivoluzione ecologica nel New England, Carolyn Merchant sottolineava ad esempio gli effetti negativi dell’agricoltura imposta dai coloni inglesi che soppianta la gestione femminile in sintonia con l’ambiente regionale. Quando la natura entra nelle discipline, modifica la prospettiva con cui gli avvenimenti sono stati osservati in precedenza. In un testo utile per capire tante crisi contemporanee, “Dust Bowl: the Southern Plans in the 1930s”, Donald Worster racconta le tempeste di sabbia che negli anni Trenta hanno flagellato le grandi pianure statunitensi, provocando quell’esodo di milioni di contadini verso gli stati vicini seguito da Steinbeck in “Furore”, fotografato da Dorothea Lange e Walter Evans. Non furono un inaspettato fenomeno naturale, sostiene, ma la conseguenza di un’imprevidente forzatura sull’ambiente: l’aver sviluppato un’agricoltura industriale, che impoverì ancora di più il suolo, in una regione non adatta, da sempre arida, poco piovosa. Una siccità  più forte e lunga, il vento e il terreno eroso provocarono la polvere. Non ci fu raccolto, i contadini non riuscirono a pagare i debiti contratti con le banche che li avevano incoraggiati ad abbandonare la piccola agricoltura, e le banche si presero la terra e le aziende. Nella Grande Depressione le erronee politiche economiche ed ecologiche giocarono dunque un ruolo centrale.


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